di Silvio Vitone
Alla fine dell’ VIII secolo, con il papa Adriano I ( 772 – 795 ), Roma è diventata definitivamente la città papale e la città santa dell’ Occidente cristiano. Ormai l’autorità e la supremazia della Chiesa di Roma sono riconosciute anche dall’ Oriente Bizantino e dai nascenti regni dell’ Europa. Con il Basso Medioevo si vanno costituendo le premesse e le fondamenta di quello che sarà lo Stato Pontificio , il secondo per estensione della Penisola. Di pari passo prende forma e si consolida la Curia Romana, l’apparato amministrativo della Stato Pontificio. La Chiesa romana accresce,attraverso un’abile politica, il suo prestigio territorialee le sue ricchezze. A lei ricorrono i maggiorenti per ottenere le immunitates, che sonole esenzioni dai tributi e dalle prestazioni di attività. Attraverso l’istituto dell’ enfiteusi la Chiesa nomina persone di fiducia che amministrano i suoi vasti possedimenti. Ma è soprattutto il continuo affluire di pellegrini a costituire un’immensa fonte di reddito per il papa, la Curia e le famiglie legate alla Curia. Anche se una vera e propria concezione della teocrazia papale si ebbe con Innocenzo III ( 1161 – 1216 ), il potere temporale – spirituale dei Papi condizionerà fortemente lo sviluppo sociale della città di Roma.
In particolare, a differenza di altre città italiane come Firenze e Milano, l’intreccio di potere spirituale, economico e politico, costituirà un intralcio all’affermarsi di una borghesia, intelligente ed illuminata, capace di dare impulso, già dall’ età comunale, all’economia capitolina.
E’ questa, invece, un’occasione d’oro per l’aristocrazia romana, che può accrescere e consolidare il proprio potere e la propria ricchezza all’ombra della Curia e del Papato. L’obiettivo ambizioso è quello di entrare a far parte della ristretta oligarchia, da cui dipenderà la scelta della persona che diventerà papa. Sono in gioco, tra l’altro,le amministrazioni dei grandi patrimoni ecclesiastici, la nomina dei funzionari civili, dei capi militari e degli altri prelati. A questa logica avevano cercato di opporsi Carlo Magno ed i suoi successori, ma alla fine del secolo IX il crollo dei carolingi favorisce a Roma quelle famiglie che sanno intrecciare economia, politica e religione. Gli imperatori germanici della dinastia degli Ottoni ripresero la politica di intervento nell’elezione del papa; con il privilegium Othonis ( 13 febbraio 962 ) l’elezione del Somma Pontefice doveva avvenire con il consenso imperiale.
Ma anche questo editto non ferma l’avidita e la cupidigia delle famiglie potenti romane.Per ottenere la supremazia si assiste a veri e propri conflitti armati e la città si trasforma in un campo di battaglia, né meno cruenta e feroce è la guerra degli intrighi di palazzo. Inizialmente prevalgono i Crescenzi, ma nel secolo XI si affermano i conti di Tuscolo, che riescono ad eleggere ben tre papi. Mario Sanfilippo in “Roma medioevale e moderna” scrive :questi lignaggi impiantano estese residenze urbane fortificate, che permettono il controllo strategico della città.” I Colonna dominano tra i SS Apostoli e l’ Augusteo, dove erigono la loro fortezza, l’Agosta e i Frangipane tra Arco di Tito e Palatino. Di conseguenza,urbanisticamente, la Roma medioevale si presenta come una serie di fortilizi racchiusi nel perimetro di diciotto chilometri delle mura aureliane. E’ una città a macchia di leopardo dove prevalgono gli spazi incolti. Altre famiglie aristocratiche sono maggiormente radicate nel territorio circostante, fuori dalle mura. Si può ipotizzare che discendano da quei baroni che intorno al X secolo divennero gli amministratori dei vasti possedimenti pontifici ed in seguito anche con l’inganno e le lotte cercarono di rivendicarne la proprietà.
l termine barone viene usato nell’espressione nel senso antico del termine. Sembra derivare da una radice germanica per indicare uomo libero o ribelle. Tale uso continuò a permanere anche nel confinante regno di Napoli, fino alla congiura dei baroni.
A Roma il termine barone del regno indicava i più alti dignitari, superiori anche ai principi con feudi dei massimi dignitari o dei grandi detentori di signorie del patrimonio di San Pietro, non in quello araldico moderno, dove occupa un posto relativamente modesto.
Sono questi i feudatari del “contado” ; fra loro accanto, ai Crescenzi, ai conti di Segni ed ai di Vico ( ma l’elenco potrebbe continuare ) si fa strada la famiglia degli Anguillara. Caratteristica dell’aristocrazia romana, urbana e non, nel Medioevo, è quella di avere munite rocche, castelli e torri nel suburbio e di avere, contemporaneamente, nel cuore della città, palazzi ben difesi. Nel corso nel XII secolo gli Anguillara costruirono la loro torre ed il loro palazzo a Trastevere, in un periodo in cui si acuivano i dissidi tra guelfi e ghibellini,tra chiesa e impero, tra chiesa e baroni. La scelta degli Anguillara è tra le più felici, a controllo del Tevere e dell’isola Tiberina. All’epoca ancora non era stato costruito il ponte Garibaldi. “Chi passa per via della Lungaretta… non sa – riporta il Baracconi – che di là usciva, ai 13 aprile 1341, solennemente Orso degli Anguillara , figlio di Francesco, senatore in Roma, per recarsi in Campidoglio a deporre, in assenza del collega Stefano Colonna, la laurea di poeta in capo a Francesco Petrarca”.
Al conte Everso II, con il quale la famiglia raggiunse in un sol colpo apice e declino, va generalmente attribuita la totale ricostruzione sia del palazzo sia della torre. Anche nel Rinascimento la carta vincente, per acquistare e mantenere il potere, a Roma, rimane comunque e sempre “ l’appoggio di un papa di famiglia e della Curia “ come si legge nel già citato testo del Sanfilippo. Anche l’istituzione del cardinalato come precondizione per accedere al soglio pontificio non viene ad intaccare questa logica perché “ … per diventare cardinale fu sempre l’appartenenza alla famiglia ed alla clientela del papa.” ( Massimo Montanari – Storia Medioevale ). Di questa realtà è un esempio nel XII secolo l’ascesa degli Orsini che hanno un papa in Celestino III. Chi non può vantare una tale “fortuna” cerca quantomeno di entrare nell’area di influenza dei ( più ) potenti di turno. Gli Anguillara entrano nell’orbita degli Orsini, che a Roma diventano una famiglia egemone secolo. L’altra famiglia egemone è quella dei Colonna, di dichiarata fede ghibellina
I Colonna sono acerrimi nemici degli Orsini, i quali ultimi appartengono alla fazione guelfa. E’ un matrimonio a suggellare l’unione delle due famiglie:Orsini e Anguillara ; Francesco dell’ Anguillara sposa Costanza Orsini. I due figli Orso e Francesco, nati da questo matrimonio, parteciparono alla vita politica romana distinguendosi particolarmente per il loro atteggiamento non costantemente chiaro verso papa Giovanni XXII. Infatti Orso e Francesco ruppero la tradizionale fedeltà della famiglia agli interessi del Patrimonio di San Pietro, attaccando Sutri nel 1331 e minacciando di cominciare una spregiudicata politica di conquiste territoriali. Subito dopo questa impresa Orso e Francesco vennero a discordia, e cominciarono a combattersi violentemente. A scatenare questa inimicizia concorse il fatto che verso il 1329 Orso, dopo molti dubbi, e infine cedendo alle pressioni di Papa Giovanni XXII, aveva sposato Agnese, figlia di Stefano Colonna, famiglia che un’aspra rivalità divideva dagli Orsini. Infatti il 6 maggio 1333, presumibilmente complice il fratello Orso, Francesco fu attirato in un’imboscata ordita dai Colonna e assassinato. Quella che può, a ragione, chiamarsi faida, fu continuata contro lo zio dal figlio di Francesco, Giovanni, che si schierò dalla parte degli Orsini. Papa Benedetto XII più d’una volta intervenne per cercare di porre fine alle violenze, ma senza alcun esito. Nonostante la fama di uomo d’armi assetato di potere e di gloria, nonostante il tenace odio che aveva nutrito nei confronti di suo fratello, e che nel presente lo opponeva al nipote Giovanni, Orso era anche uomo di cultura, e si dilettava persino a comporre poesie. Dopo alterne vicende, tra cui l’assassinio di suo fratello, in lotte tra fazioni nobiliari le quali gli misero contro suo nipote Giovanni, figlio di suo fratello, Orso, finì per rinnovare la sua fedeltà al papato dopo essersi unito in matrimonio con Agnese Colonna Nel novembre 1340 fu nominato senatore di Roma e partecipò attivamente alla vita politica cittadina. Occorre qui precisare la figura di senatore a Roma nel Medioevo. E se fino all’alto medioevo esisteva ancora l’istituzione del senato, molto diversa sicuramente da quella degli antichi romani e da quella che abbiamo noi oggi, tra il VII e l’VIII secolo d.C. l’assemblea collegiale viene sostituita da un’unica figura che rappresentava gli interessi delle famiglie e affiancava il Pontefice, il Senatore Romano.
C’erano poi altre cariche che queste nobili famiglie andavano a ricoprire come i Marchesi di Baldacchino, riconoscenza formale data a famiglie importanti oppure il Principe Assistente al Soglio, colui che nelle cerimonie e nelle decisioni del Papa era sempre alla sua destra. Dal 1500 questa figura venne ricoperta esclusivamente dai componenti delle famiglie Orsini o Colonna. Nell’aprile del 1341 incoronò il capo del Petrarca con la corona d’alloro. Morì prima del 1366, anno in cui la figlia Maria viene detta ” magnifici viri Ursini comitisAnguillarie Merita qui soffermarsi sulla sua relazione con il Petrarca. Il Petrarca, approfittando della morte del padre, ser Pietro (o Petracco), notaio trasferitosi per ragioni politiche ad Avignone, aveva abbandonato i poco amati studi di giurisprudenza, cui il padre stesso lo aveva avviato, prima a Montpellier poi a Bologna. Ma trovandosi presto in precarie condizioni economiche, era entrato a far parte, ad Avignone, del seguito di Giacomo Colonna, Arcivescovo di Lombez, quindi dal 1330 del di lui fratello, il Cardinale Giovanni Colonna; Agnese, moglie di Orso, era sorella di questi due eminenti porporati. Per conto di tali personaggi, nel 1333 il Petrarca aveva intrapreso un viaggio nella Francia del Nord, nelle Fiandre e nel Brabante.
Però il suo sogno, a lungo vagheggiato, era di recarsi a Roma, e potè essere finalmente soddisfatto quando alla fine del 1336 il Cardinale Giovanni Colonna lo chiamò, per averlo con sé in questa città. Si imbarcò a Marsiglia il 21 dicembre 1336, e sbarcò a Civitavecchia i primi giorni di gennaio 1337. Tuttavia giungere a Roma era impossibile, oltre che molto pericoloso, perché tutte le strade erano presidiate dai nemici della famiglia Colonna.
E fu allora che Orso ospitò il poeta Francesco Petrarca (1304-1374) nel suo castello di Capranica, dove risiedeva insieme alla moglie Agnese.
Oltre Orso due personaggi di questa famiglia meritano una particolare menzione.
Lorenzo da Ceri
Lorenzo, rampollo di un ramo laterale della già potente famiglia comitale degli Anguillara, era nato a Ceri da Giovanni nel 1475 o, secondo altri, nel 1476. La madre era una Giovanna Orsini e il futuro signore di Bieda, coinvolto nelle fortune della grande famiglia materna, fu considerato dai contemporanei un Orsini, mentre gli storici lo ricordano meglio come Renzo da Ceri, secondo l’abitudine sempre osservata di firmare con questo nome. Giovane di belle speranze, audace e spericolato, coltivò in modo particolare il mestiere delle armi e arrivò ad essere uno dei grandi capitani del tempo, tenuto in grande considerazione per la indubbia audacia con la quale manovrava forti masse di fanteria e il coraggio personale dimostrato in combattimento. Erano i tempi, per dirla con il Machiavelli, nei quali la situazione della Chiesa era tale che ‘ogni barone o signore benché minimo, quanto al temporale, la stimava poco’.
Comunque fu sempre fedele alla causa pontificia.
Da giovane costituì una compagnia di un centinaio di cavalieri al servizio della Repubblica di Venezia.
Per la sua carriera militare occorre segnalare che tra il 1522 e 1524 fu al servizio del re di Francia.
Ma deve essere ricordato per l’eroica difesa di Roma nel 1527 contro le truppe asburgiche.
Allora Roma fu difesa solo da cinquemila uomini contro una preponderante forza nemica
Everso II (nella foto il suo simbolo)
Diventato conte di Anguillara fin da bambino, sotto la tutela della madre, nel primo trentennio del XV secolo, il già temibile Everso era signore di ampi domini: di Cerveteri, Carbognano, Caprarola, Ronciglione, Capranica, Vetralla, Santa Severa, San Giovenale, Monticelli, Santa Pupa. Nel 1416 provocò lo sdegno degli abitanti di Sutri perché aveva compiuto scorrerie nei loro territori e aveva fatto dei prigionieri. Nel 1431, essendo commissario del patrocinio di San Pietro in Tuscio, si poneva al servizio di papa Eugenio IV in occasione della guerra contro i Colonna e stipulava un accordo col protonotario apostolico Francesco Condulmer. Combatté per lo Stato della Chiesa e fu amico dei migliori condottieri suoi contemporanei. Nemico acerrimo dei Di Vico, ne smantellò il castello di Ronciglione; nel 1432 attaccò Vetralla, insieme a Giovanni Mostarda. Per essersi indignato con il pontefice, non prese parte alla guerra contro Braccio da Montone; ma quando fu rifatta la pace, arrivò ancora in tempo a respingere il signore di Perugia e nello stesso anno 1433 ne pose in fuga il commissario Angelo Roncone che aveva messo a sacco il villaggio di Bieda.
Un anno dopo sostenne la Chiesa contro il duca di Milano Filippo Maria Visconti e si rappacificò col Fortebraccio. Pose sotto assedio Tolfa ma questa si arrese nel 1435 soltanto a Dolce II, fratello di Everso.
Nei saccheggi fatti per propria iniziativa contro il prefetto di Vico, a Vetralla, Caprarola, Casamola e Carbognano portò via un ricco bottino. Il Vico chiese protezione ai viterbesi e a Francesco Sforza, senza alcun esito; mentre Everso aiutato dal Giovanni Vitelleschi, riuscì a sconfiggere Giacomo Castelli di Vico, ultimo della sua famiglia ad esercitare quella carica, traendo da questa impresa vantaggiosissimi frutti. Non c’è concordanza sulle origini di questa famiglia. Di sicuro non era non erano di italica stirpe. Nelle loro vene scorreva sangue normanno o longobardo ? Si ha notizia di un capostipite di nome Ramone, che visse intorno al X secolo. L’illustre storico della Campagna Romana Giuseppe Tommassetti riporta una leggenda secondo cui il conte Ramone avrebbe sconfitto un drago, che aveva la sua tana – rifugio a Malagrotta.
E’ molto più probabile che si trattasse di una banda di briganti predoni che imperversava nella zona e non siamo certi nemmeno che sia stato Ramone in persona a sconfiggerli
Il papa, per riconoscenza gli avrebbe concesso la signoria di quell’ampio territorio, tra Torrimpietra e il mare.
Più accurate notizie su Malagrotta e sui possesssi degli Anguillara le troviamo in una descrizione del Nybbi. l toponimo della zona deriverebbe dal latino Mola Rupta (“mola rotta”), nome originato da una mola ( mulino )presente sul vicino rio Galeria che si ruppe, tramandando così ai posteri l’attuale toponimo. La prima menzione di Mola Rupta risale al 955, in merito alla cessione di una parte della tenuta da parte di una certa Costanza nobildonna romana; nel 1242 in una bolla di papa Innocenzo IV è menzionato un castrum Molaruptae, dove erano presenti due chiese, Santa Maria e Sant’Apollinare; nel 1299 papa Bonifacio VIII confermò il casale come possesso dei monaci benedettini di San Gregorio al Celio in Roma. Nel XIX secolo Malagrotta faceva parte della tenuta di Castel di Guido, di proprietà dei principi Borghese, ed ospitava un casale, un granaio, una chiesa ed un fontanile.
Una leggenda popolare vuole che il toponimo tragga invece origine da una grotta nella quale abitava un minaccioso drago, contro il quale il Papa indisse una crociata a cui parteciparono i principali baroni romani: questa storia fiabesca è stata narrata dal poeta romanesco Augusto Sindici nel sonetto Malagrotta dell’opera XIV leggende della campagna romana:
| «Quanno so a Malagrotta, a la salita, er Drago, prima che je se avvicini er grosso de la squadra inferocita, vola a l’assarto su li più vicini.» |
| (Augusto Sindici, XIV leggende della Campagna Romana – Malagrotta, Roma 1902.) |
Vi è però un’ipotesi più storicamente plausibile sull’orgine degli Anguillara, o meglio sul loro arrivo nelle plaghe allora malariche di Maccarese. Anche qui c’entra il drago, ma solo incidenter tantum e non si tratta solo di leggenda.
Racconta una legenda dell’Alto Medio Evo che nella Mala Grotta si fosse rifugiato un “immanentissimedraco”, anzi un’intera famiglia di draghi, come indicano i toponimi di Dragona e Dragoncello, scacciati da Roma dall’arcangelo Michele in persona (quello di Castel Sant’Angelo). Per scacciare il drago anche dalla grotta, dato che il suo fiato sulfureo e puzzolente dava fastidio ai villici della vicina tenuta dei Massimo (Massimina), si mosse un’intera schiera di baroni, guidati dagli Anguillara. Il drago venne infine ucciso da uno degli Anguillara, con l’aiuto dei Massimo (di Massimina), dei Mattei (di Casetta Mattei), dei Normanni (di Maccarese), di Guido di Spoleto (di Castel di Guido) e – si sussura – con la partecipazione di San Giorgio – e infatti a questo santo è dedicato il Castello di Maccarese. Ma il fetore rimase ed anzi si estese nel territorio degli Anguillara, da Mala Grotta alla Caldara vicino Bracciano, al cratere di Baccano
Dopo Ramone, per sentire parlare degli Anguillara, bisogna aspettare fino al 1090 quando Gherado si allea coi prefetti di Vico contro il popolo romano .
Dopo di lui, Giovanni che nel 1140 si impossessò di Santa Severa, e Nicolò, che nel 1146 conquistò Tolfa.
Conclusioni
Ho tratteggiato la storia della famiglia dei conti dell’ Anguillara, dagli inizi, intorno al X – XI secolo fino al Rinascimento, fino a quel 1527, che vide in prima linea, a difesa di Roma, don Lorenzo del ramo Orsini Anguillara, meglio conosciuto come Renzo da Ceri.
Non è stata mia intenzione soffermarmi sulle vicissitudini degli Anguillara, sui loro intrighi, sulle scaramucce e guerre guerreggiate, i matrimoni, le morti violente subite e procurate
Nemmeno ho voluto insistere – più di tanto – su quegli uomini “ d’arme “ di questa famiglia che si sono distinti per le loro doti di condottieri anche al servizio di potenze straniere; vedi , ad esempio Francesco I, re di Francia.
Questa famiglia ha lasciato un segno, tangibile e non facilmente trascurabile, sui borghi e città dell’ Alro Lazio, sulle quali hanno dominato con feudatari a volte controversi a volte lungimiranti.
Pensiamo in primo luogo ad Anguillara, sul lago di Bracciano dove gli affreschi della scuola di Raffaello nelloro palazzo ( oggi sede municipale ) attirano un turismo di qualità per ammirare una delle località della nostra bella Italia ingiustamente definite minori.
Non dimentichiamo che EversoII morì a Cerveteri, di cui fu signore, nel 1464.
In proposito mi piace ricordare che nel 1433 con l’aiuto degli abitanti di Cerveteri e con Orso Orsini conquistò Blera.
E Capranica deve il suo castello a Pandolfo II, fatto costruire nel 1285.
Ed anche sul piccolo borgo di Ceri, frazione oggi di Cerveteri, don Lorenzo,già citato,a parte, dominarono due donne di queste famiglia Porzia e Olimpia.
Sotto il loro successore Andrea, sul finire del 500, Ceri venne elevato al rango di ducato.
Ed ancora Canepina, Faleria, Santa Severa, Ronciglione e Tolfa ci raccontano delle imprese e dei castelli e rocche attribuite agli Anguillara.
La storia di questa famiglia mi ha consentito di gettare uno sguardo, che forse andrebbe approfondito, sul potere temporale dei Papi in un periodo che vede, in successione, la lotta delle investiture, la cattività avignonese, lo scisma d’occidente, le vicende di Cola di Rienzo.
Insomma chi sono stati questi Anguillara ? E’ stata una famiglia potente, ma non potentissima,minore, ma non minoritaria. Certo è che gli Orsini, veri dominatori della Roma papalina, gettano un’ombra –non certo indifferente – sulle sorti degli Anguillara e sulle loro fortune. Anche per gli storici non è facile districarsi nella ragnatela di matrimoni, accordi ed intrighi, che legano le due casate, soprattutto nel periodo rinascimentale.
C’è da chiedersi: sono da ascrivere gli Anguillara allafigura di tirannelli di provincia ? Tennero un piede, si fa per dire, nelle loro tenute dell’ Alto Lazio, e lo sguardo, nello spesso tempo, rivolto a Roma. Sono stati capaci( non sempre ) di presentarsi sullo scacchiere politico – militare dell’epoca come avveduti comandanti.
Se nel periodo medioevale sono conosciuti come baroni – feudatari con tutta la valenza e l’ambiguità di questo termine, nel Rinascimento la loro fama è legata alle loro ambizioni e successi di capitani di ventura.
Alcuni capitani di ventura furono guerrieri valorosi e coraggiosi, molti altri ‒ come osservò NiccolòMacciavelli -consideravano l’attività militare solo un lavoro e non si facevano scrupolo di tradire chi li assumeva per passare al servizio di un miglior offerente. Talvolta capitani schierati su fronti opposti si accordavano per ridurre al minimo i rischi: la vita di ogni soldato era un bene prezioso da salvaguardare. Molti scontri, come le battaglie di Zagonara (1424) e di Anghiari (1440), furono solo simulati e i pochissimi morti furono vittime di incidenti fortuiti, come cadute da cavallo.
Idealisti legati alla causa guelfa ? Guelfi più per convenienza che per vocazione; in verità Pandolfo si schierò con l’imperatore Federico II nell’ assedio di Viterbo. Era l’anno 1234.
Ed Everso II nel 1452 aiuta nelle Marche i ribelli attirandosi la scomunica del papa Niccolò V.
In fondo, come ( forse come altre famiglie romane ) le loro fortune sono legate ad un determinato periodo storico, che vede l’apice nel secolo XVI e declinano, in ogni caso,nell’ Italia prenapoleonica.
Sta di fatto che gli eserciti e le guerre contemporanee non hanno più bisogno di condottieri e di capitani di ventura, ma di uomini di comando espressione di uno stato nazionale, moderno, forte e ben organizzato.
Sono stati nobili legati al latifondo ed alla proprietà terriera; ma la “roba” di verghiana memoria – cioè la terra – non è più la fonte della ricchezza e di poterecon l’imminenza dell’ industrializzazione e il radicarsi delle idee liberali anche nello Stato della Chiesa. L’Ottocento vede nuove famiglie romane salire alla ribalta sono i Graziosi e i Torlonia.
Ma gli Anguillara si sono già estinti nel ‘ 700.
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