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QUANDO E COME CONOBBI LE  IMMENSE SCIENZIATE MARGHERITA HACK E RITA LEVI MONTALCINI

di Arnaldo Gioacchini *

La prima Persona, in ordine temporale, che ho conosciuto, è stata la Grande Astrofisica  professoressa Margherita Hack, ecco come avvenne: Rammento che era un’ inizio d’estate dei primi anni ’90 ed ero a Firenze ( la città di mia moglie e dove mi sono sposato) in Piazza della Signoria ad ammirare (come mi capitava e mi capita ogni volta che mi reco a vedere gli aggiornamenti espositivi della Galleria degli Uffizi) il ritratto inciso, stando di spalle!, da Michelangelo Buonarroti sul bugnato del Palazzo della Signoria quasi sull’angolo di via della Ninna, quando mi sentii interpellare, da una voce femminile, che mi disse che quanto stavo guardando era molto interessante, al che mi girai e riconobbi subito una sorridente Margherita Hack, al che vista la disponibilità in materia della Persona, iniziai a sciorinare quanto sapevo in proposito e chi me lo aveva fatto notare la prima volta – correva l’anno 1965 (il, poi divenuto  famoso, architetto Massimo Ricci) e delle ricerche che avevo effettuato inutilmente  in proposito salvo che reperire un libriccino dal titolo “Lo struscio fiorentino”, che riporta tutta una serie di vox populi legate a situazioni fiorentine, dicendo anche alla professoressa Hack perché mi stavo recando, per l’ennesima volta, a vedere gli Uffizi. Al che, continuando il nostro scambio di  notizie ed opinioni su tante cose concernenti la splendida Firenze la Professoressa, Persona molto diretta ed immediata, mi disse, all’incirca, con una espressione molto convinta e con una certa ironia, che ne sapevo molto di più di tanti fiorentini di sua conoscenza. Al che anch’io molto diretto, come è nella mia natura, gli dissi che il mio amore per Firenze si era ulteriormente implementato da quando ero stato uno degli “Angeli del Fango”, e da lì iniziammo a dialogare, a proposito dell’Alluvione di Firenze, del frammento del Cristo del Cimabue che per fortuna fu ritrovato nel fango in prossimità dell’Opera d’Arte, per poi proseguire a parlare di Giotto, di Dante, del Brunelleschi, di Leonardo ed ovviamente di Michelangelo e della non amicizia fra i due Immensi Ingegni e di come Leonardo dava dello “scalpellino” a Michelangelo che a sua volta diceva di Leonardo che era uno che iniziava sempre un qualcosa che non riusciva mai a finire. Nel frattempo, mentre dialogavamo di quanto sopra (avevamo già attraversato la stretta via della Ninna e ci avvicinavamo all’ ingresso degli Uffizi) compresi che la Hack mi stava ben “pesando”, umanamente parlando, e che ciò si era concluso piuttosto favorevolmente per me in quanto salutandomi, ripeto con la schiettezza che la contraddiceva, mi disse che era stata molto contenta di avermi conosciuto  e che gli avrebbe fatto molto  piacere parlare ancora con me anche d’altro e che probabilmente ciò sarebbe avvenuto abbastanza presto in quanto Firenze era piuttosto piccola e con una grande concentrazione artistico culturale in determinate zone che tutti e due, gli sembrava di capire, frequentavamo piuttosto volentieri. La Grande Scienziata aveva ragione in quanto ci rincontrammo pochi mesi dopo, entrambi piuttosto “incappottati” visto che eravamo in pieno inverno, ed io stavo uscendo da Forte Belvedere mentre la Professoressa Hack aveva appena sorpassato, a salire, Porta San Giorgio (uno degli accessi al Centro storico della città  riconosciuto come Sito UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità) al che la salutai dicendogli se per caso era stata a “far visita a Galileo” (la casa dove abitò Galileo Galilei è lungo la Costa San Giorgio più in basso) rispondendo al mio saluto, riconoscendomi subito, la Hack mi disse che su Firenze le sapevo proprio “tutte” accompagnando la frase con una bella risata. La mia risposta fu che con il sapere quale era stata la casa di Galileo si era proprio all’abc della “fiorentinitudine” e quindi forse non ne sapevo più di tanto. La Grande Professoressa rispose, sempre sorridendomi, che ciò era vero e se per caso facevo la sua stessa strada, che era ed è la deliziosa  via di San Leonardo, avendone da parte mia la conferma in quanto avevo lasciato la macchina alla fine della via a ridosso dello Chalet Fontana superato l’incrocio con  Viale Galileo. E fu in questa occasione che scoprii ulteriormente la grande Cultura della Professoressa anche se poi l’incipit del nostro dialogo fu di natura sportiva ecco il perché:  La Hack camminava piuttosto svelta ed io la affiancavo senza difficoltà al che mi disse se facevo sport al che gli risposi che avevo fatto dell’atletica leggera nel mezzofondo, nella staffetta correndo anche allo Stadio Olimpico di Roma due anni dopo la grande Olimpiade del ‘60 e nel salto con l’asta pur non avendo vinto nulla al contrario di Lei che era stata una campionessa di atletica leggera vincendo anche, alla sua epoca, quelli che erano gli “ Studenteschi” di allora. Al che la Professoressa, rimanendo per un attimo stupita, mi chiese come facevo a saperlo al che gli risposi che ero un giornalista che oltre a scrivere abbastanza di cultura leggevo pure molto in generale. Camminando per via di San Leonardo iniziammo subito a parlare di una parte, piuttosto “disegnata” dei muri che la cingono, dei campi di olivi che si estendevano ( e si estendono ancora) alle spalle delle ville, delle varie cultivar olivarie ed in proposito e la Hack mi precisò quelle che erano le più diffuse in Toscana ed in particolare intorno a via di San Leonardo e nelle colline fiorentine ed entrambi sottolineammo la preziosità qualitativa dell’olio di olivo puro (l’abbreviativo EVO non era ancora in uso) e quanto c’era ancora da scoprire sulle sue proprietà intrinseche.  Mentre parlavamo di ciò giungemmo di fronte al quel piccolo gioiello architettonico in stile romanico, dei primi secoli dell’anno Mille, che è la chiesa di San Leonardo di Arcetri ed io iniziai subito a magnificarla, con la Hack che condivideva totalmente ciò che dicevo aggiungendo però, con un pizzico d’ironia tutta toscana, che anche Lei la conosceva un “pochino” visto che lì si era sposata, una risposta questa che mi lasciò letteralmente basito e quindi non mi rimase che ascoltare ciò che mi raccontò (tanto) in proposito, di storico ed architettonico la Professoressa. Poco più avanti incontrammo la casa/studio di Ottone Rosai e lì, la Grande Astrofisica, giù a parlare dell’Uomo pittore e dell’Uomo politico del suo stile, della sua pittura con la Grande Scienziata che mi raccontò tanti particolari, per me assolutamente inediti, legandoli poi a dei, molto interessanti, paragoni e riscontri con altri tipi di pittura ed altri pittori d’ambito fiorentino ma non solo. Ma la “lectio magistralis”, con io che ormai La ascoltavo attentissimo e basta, della Professoressa Hack non era finita lì in quanto prima di giungere all’incrocio con  viale Galileo sulla destra di via di San Leonardo c’è la casa dove a Firenze dimorò quell’immenso musicista, innamoratissimo della Città Gigliata, rispondente al nome  di Pëtr Il’ič Čajkovskij, che proprio in quella casa  compose la “Dama di Picche” come mi disse la Professoressa aggiungendo anche che tale opera era tra le meno note ma, secondo Lei, fra le più belle del grande compositore russo dicendo ancora se sapevo di quando anche Mozart, all’età di 14 anni, venne a Firenze esibendosi di fronte al Granduca di Toscana Leopoldo II°, tutte cose, insieme a molte altre che mi narrò la Hack, che ignoravo totalmente, per cui quando, poco dopo, superato il semaforo di viale Galileo, ci salutammo, stringendoci vigorosamente la mano, gli dissi che ero estremamente grato di quanto mi aveva raccontato, con tanta esattezza e dovizia di particolari, e di quanto ero ancor più onorato di averLa meglio conosciuta dopo tutta quella splendida narrazione effettuatami nel percorrere Via di San Leonardo. L’anno successivo, mi ricordo che eravamo appena usciti dall’inverno, quando La rincontrai alla fine della spianata in discesa di Palazzo Pitti, ci riconoscemmo e ci salutammo subito con la Professoressa che mi chiese cosa ero stato a fare  a Pitti al che gli risposi che ero stato a vedere il Museo degli Argenti ma soprattutto avevo rivisitato una parte del Giardino di Boboli che ricordavo poco. La Hack mi disse che era un peccato che non era possibile arrivare a Pitti tramite il Corridoio Vasariano che passa sopra la parte superiore del Ponte Vecchio provenendo dagli Uffizi vista la sua costante chiusura. Ma mentre diceva di ciò la Grande Scienziata iniziò a parlarmi di tale Corridoio, della sua nemesi storica e delle opere che lo ornavano, cosa che per me fu un’ulteriore “bagno di Cultura”. Arrivati in prossimità del Ponte Vecchio ci salutammo con Lei che lo andò a traversare ed io che invece prosegui a destra sul lungarno felice di aver rincontrato ancora quello Scrigno di Grande Cultura rappresentato dalla Grande Scienziata Professoressa Margherita Hack. La dinamica invece con la quale venni ad incontrare la Neurologa Professoressa Rita Levi Montalcini, Eccezionale Scienziata e Splendida Persona, Premio Nobel per la Medicina nel 1986, fu totalmente differente in quanto fui io a “cercare” tale incontro. Ecco come si svolsero i fatti: Era già qualche anno che lavoravo, con notevoli responsabilità amministrative, nella grande Azienda Ospedaliera che comprendeva gli ospedali  San Camillo, Forlanini e Spallanzani con quest’ultimo nosocomio, già molto ma molto specializzato, che stava assumendo (giustamente) una sua autonomia gestionale datosi la differenziante specifica che lo distingueva dagli altri due, correva l’anno 1996. Per l’occasione era stato pensato un Comitato Scientifico comprendente nomi più che importanti fra cui la Professoressa Montalcini e, non vorrei sbagliarmi, anche il biologo francese Luc Montagnier poi Premio Nobel nel 2008. Comitato Scientifico che però non mi risulta abbia mai decollato e non so neppure se fu mai vaticinato veramente e se mai si riunì. A parte ciò però visto che a me interessava molto conoscere e parlare con la Straordinaria Professoressa Montalcini della Quale tanti biologi e medici amici con i quali condividevo anche l’insegnamento, ovviamente ciascuno per la sua materia le mie erano Sociologia e Cultura Generale, nelle molte Scuole Professionali specializzate che avevamo nel suddetto polo ospedaliero, mi avevano parlato benissimo in tutti i sensi, telefonai dal San Camillo, ove all’epoca ero il responsabile dell’Accettazione Amministrativa, allo Spallanzani, visto che un dipendente di esso, che conoscevo e che era venuto per una pratica al San Camillo, mi aveva detto di aver visto poco prima entrare la Grande Scienziata nel loro edificio principale, ed avutone la conferma corsi allo Spallanzani (contiguo e collegato all’interno con il San Camillo) per conoscerLa, dando, per l’occasione, delle disposizioni temporanee al mio vice. Arrivato in un battibaleno allo Spallanzani chiesi subito in portineria della presenza della Prof.ssa Montalcini ed avutone la conferma mi mise in paziente attesa. Un attesa di una mezz’oretta che non mi pesò affatto anzi e che conclusi presentandomi, con un sorridente inchino, alla Montalcini dicendogli subito,senza niuna perifrasi, che ero venuto dal vicino San Camillo, ove lavoravo, proprio per conoscerLa e che già stringerGli la mano per me era un grandissimo onore. La Scienziata mi chiese che lavoro facevo al San Camillo e se ero romano, al che gli risposi che sì ero romano nato nel rione di Trastevere ed in casa di ebrei, una risposta quest’ultima che la incuriosì molto in quanto di origine ebraica, per cui gli spiegai perché ciò era avvenuto aggiungendo che ben sapevo che Lei era nata a Torino che per me che, per alcuni anni, mi ero occupato molto professionalmente di cinema significava in particolare la prima, in ordine temporale, città del cinema in Italia con la Pittaluga film e gli esordi nel cinema (ovviamente muto) del padre di Sergio Leone l’avv. Vincenzo Leone in arte Roberto Roberti e poi lo straordinario Museo Egizio il secondo al mondo dopo quello del Cairo. Mentre dialogavo su queste tematiche con la Professoressa Montalcini, Persona educatissima che mentre parlava con un eloquio, molto semplice e molto elegante nello stesso tempo, ti fissava in viso con i suoi begli occhi che sembravano leggerti dentro, apparve, sospettosissimo, da dietro il muro di un edificio posto sull’angolo sud del piazzale, un piccolo branco di cani guidati da un bel maremmano bianco al che, piuttosto stupita da ciò, la Professoressa mi chiese se ne sapevo qualche cosa in proposito avendone subito da parte mia dei precisi chiarimenti: Il furbissimo maremmano bianco era il capo di un piccolo branco di otto cani, fuggiti dai loro padroni, che “risiedevano” nelle cavità naturali poste fra il San Camillo, lo Spallanzani ed il Forlanini, sfuggendo sistematicamente a tutti gli “agguati” e le trappole poste loro dagli addetti del Canile Municipale di Porta Portese che volevano catturarli per toglierli dalle pertinenze dei tre nosocomi. Al che, sorprendendomi alquanto, la Grande Scienziata, sorridendo, mi disse che, probabilmente, andavano, nel loro girovagare, a dissetarsi anche alle limpide acque del piccolo lago sotterraneo del Forlanini parlandomi pure della natura geologica delle grotte della zona visto che io ero rimasto piuttosto sorpreso che sapesse del lago sotterraneo, per poi passare alla via Portuense che è a ridosso dell’ingresso dello  Spallanzani, della sua storia, di dove recava nell’antichità, da dove iniziava e da chi fu fatta costruire, dicendomi che era stata fatta costruire dall’imperatore Claudio per raggiungere Portus il porto di Roma dell’epoca, che iniziava da Porta Portese e degli insediamenti antico romani posizionati sul suo percorso facendo anche dei riferimenti storico/mitologici antecedenti all’antica Roma chiedendomi anche, sfoderando ancora il suo bellissimo e disarmante sorriso, se mai avevo visitato gli scavi archeologici posti piuttosto vicini al luogo ove eravamo. Al che gli risposi che conoscevo bene quella zona archeologica grazie a mio nonno che mi ci aveva portato più di una volta aggiungendo, avendo anche notato quanto alla  Grande Professoressa gli piaceva ascoltare, se era a conoscenza che fino alla fine degli anni ’60 molto vicino a noi, quindi totalmente dentro Roma fra via Portuense e via Maiorana c’era in attività la Purfina una raffineria di petrolio mentre fino alla fine del anni ’50 nella zona subito antecedente i palazzi di Donna Olimpia c’era il Bagno delle Traverse ove una locomotiva a vapore che partiva dalla sottostante stazione di Trastevere portava vari vagoni carichi di traversine ferroviarie di legno vergine che ivi venivano trattate per renderle più resistenti alle intemperie. Ascoltando, con la massima attenzione, queste due cose la Grande Scienziata mi disse di quanto erano interessanti queste due notizie di  archeologia industriale che era andata quasi a missarsi in loco con l’archeologia vera e propria. Al che, considerato che con le mie semplici notizie avevo destato un certo interesse nella Professoressa, gli raccontai pure come spesso mio nonno mi portava da bambino ad assistere, dall’alto di una collinetta che sovrastava la zona, al viavai ferroviario legato sia alla stazione di Trastevere che a quello del bagno delle traverse e la cosa durava in genere alcune ore tanto è vero che da casa ci portavamo spesso, superando l’ora del desinare, un panino con la frittata. La Rita Levi Montalcini mi disse che ciò che gli avevo raccontato era molto bello ed interessante da tutti i punti di vista, una risposta talmente inaspettata che, venendo da tale Persona, subitaneamente mi meravigliò e mi inorgoglì  tantissimo. Quasi in trance per questo bellissimo incontro, che se fosse dipeso da me sarebbe durato sine die, riuscii comunque a dire all’Immensa Scienziata che mi scusavo per il tempo che Le facevo perdere, visto che da un lato del piazzale c’era una macchina che l’attendeva, avendone subito la risposta che non dovevo preoccuparmi e che sì doveva andar via ma che il nostro dialogo non era stato affatto tempo perso anzi viste le notizie che ci eravamo scambiate  (bontà sua); al che, piuttosto inorgoglito di ciò, Le porsi il mio braccio sinistro (la Professoressa aveva già 87 anni), accompagnandola alla sua auto. Passarono alcuni anni, cinque per la precisione, ricordo che correva infatti l’autunno del 2001, quando mi ero recato ( per golosità) al forno/ pasticceria artigianale che era (non so se c’è ancora abitando ormai fuori Roma da molti anni) quasi  di fronte a Palazzo Madama ove ha sede il Senato della Repubblica, pasticceria ove mi aveva “introdotto”, qualche anno prima, un’amica e collega giornalista  Carla Mazzucca la quale era la caporedattrice della redazione romana del Corriere Medico ove, all’epoca, lavorava anche Samaritana Rattazzi la figlia di Susanna Agnelli. Venendo fuori dal forno vidi che da Palazzo Madama stava uscendo la Professoressa Montalcini, la quale era stata nominata Senatrice a Vita della Repubblica Italiana dal Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi, e considerata la grande ammirazione e stima che nutrivo per l’illustre Scienziata sentii, quasi come un dovere, andarLa a salutare sperando di non disturbarLa magari con il fatto che forse non si poteva ricordare di me. Traversai la piazza e mi avvicinai alla Professoressa la quale era uscita al braccio di un signore e la salutai inchinandomi al che, la lucidissima Scienziata, mi riconobbe subito salutandomi e dicendo al suo accompagnatore chi ero e che lavoravo al San Camillo al che gli rettificai che ero passato a lavorare al comune di Cerveteri molto più vicino alla mia abitazione visto che risiedevo a Ladispoli. La Professoressa disse al suo accompagnatore, ringraziandolo, che poteva pure lasciarLa considerato che gli avrebbe fatto piacere parlare con me. La Montalcini mi chiese subito se conoscevo Palazzo Madama e che, se volevo, potevo entrare accompagnato da Lei. Di ciò La ringraziai molto dicendoGli  però che conoscevo bene l’interno del Palazzo in quanto me lo aveva fatto visitare il Prof. Spadolini. Al nome di Giovanni Spadolini sempre sorridendomi, con quel bellissimo sorriso che non dimenticherò mai, la Senatrice mi disse se per caso ero anche repubblicano al che risposi subito che sì lo ero in quanto mazziniano di famiglia mazziniana fin dal tempo di Giuditta Tavani Arquati. La mia grande sorpresa fu quando la Montalcini replicò dicendomi che conosceva la storia dell’eroina risorgimentale romana e dell’eccidio del Lanificio Ajani, al che aggiunsi che il mio antenato Paolo Gioacchini (mazziniano) era il “capoccia” del lanificio e con lui erano stati uccisi anche i figli Giuseppe e Giovanni e le loro ceneri riposavano al Mausoleo del Gianicolo accanto a quelle di Goffredo Mameli. La deliziosa Persona con la quale stavo, tanto volentieri, interloquendo, mi disse che considerata la mia romanità probabilmente ero anche ben informato su le opere statuarie ed architettoniche che ornano piazza Navona dal Canova al Borromini e del sottostante stadio di Domiziano che era particolarmente dedicato alle gare di corsa, ma anche alla lotta ed al pugilato. Tutto ciò e molto altro ancora la Montalcini me lo narrò in un modo, talmente semplice e preciso nello stesso tempo, che rimasi, per un attimo quasi in estasi  tanto è vero che quasi non sentii una sua precisa domanda che riguardava un’altra branca della cultura nello specifico la musica e la vicina chiesa di Sant’Andrea della Valle con l’opera lirica la Tosca di Giacomo Puccini tratta dal dramma di Victorien Sardou, con la magnifica Scienziata che me la riassunse in breve, ma raccontandomi tutta la storia come non sarebbe riuscito a fare neppure mio nonno Arnaldo grande melomane e collezionista di libretti delle opere liriche. Ma la straordinaria “lectio magistralis” della Grande Professoressa non era finita lì in quanto, avendo compreso quanto mi piacesse la storia antica della mia città, mi chiese se sapevo dove era stato pugnalato Giulio Cesare, al che gli risposi che il tutto era avvenuto al Foro Romano e Lei a precisarmi che il Foro Romano in questione era più vicino a noi di quanto pensassimo in quanto faceva parte degli scavi archeologici di Largo di Torre Argentina e Cesare era stato ucciso nella Curia di Pompeo. A quel punto non ricordo quanti grazie dissi alla Montalcini per quello splendido colloquio porgendogli il mio braccio accompagnandola alla macchina che era in paziente attesa. La terza volta che incontrai Rita Levi Montalcini fu a dicembre del 2005 quando l’illustre Scienziata fu l’ospite d’onore, con relativa premiazione finale, a Palazzo Firenze a Roma da parte della Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO, all’epoca presieduta dall’ottimo professor Giovanni Puglisi, l’occasione fu la bella conferenza dal tema: “La Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO nel Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile  2005 – 2014”, l’evento si svolse nello splendido salone affrescato detto “Loggia del Primaticcio”. Perché a Palazzo Firenze, perché ivi, dal 1950, vi è la sede della suddetta Commissione, fra l’altro Palazzo Firenze ospita un’altra prestigiosa  Realtà culturale che è la Società Dante Alighieri, codesta addirittura dal 1926. Nell’occasione chi scrive andò a rappresentare Cerveteri che poco più di un anno prima era divenuta Sito UNESCO anche grazie al suo forte impegno personale. Insieme al presidente Puglisi al tavolo della presidenza sedevano (oltre ovviamente la graditissima Ospite Professoressa Montalcini) il fisico Gianni Francesco Mattioli già ministro per le politiche europee ed il giornalista e divulgatore Alessandro Cecchi Paone ai quali, per la premiazione all’immensa Scienziata, si aggiunse pure lo scrittore e giornalista Luciano Luisi. A latere della conferenza il sottoscritto ebbe modo di parlare, per un tempo sufficientemente lungo (approfittando anche di aver conosciuto la Professoressa Montalcini e di essere un giornalista iscritto all’Ordine) avendo l’ennesima riprova dell’immensa Cultura, a largo spettro, della Scienziata quando Lei gli disse che il nome del Palazzo Firenze proveniva dal fatto che per un periodo i suoi proprietari furono i Medici, e che il salone che ospitava la conferenza si chiamava Loggia del Primaticcio perché era stata affrescata dal l’ottimo pittore Francesco Primaticcio detto il Bologna perché in quella città era nato agli inizi del Cinquecento e che costui, mi aggiunse l’Insigne Professoressa, oltre ad essere stato un valente pittore era stato pure un ottimo architetto e decoratore. Ma questa ennesima “lectio magistralis” ad ampio spettro che mi tenne la Rita Levi Montalcini non si esaurì lì in quanto, con il garbo e la cortesia tutta unica che La contraddistingueva, mi narrò anche che Campo Marzio, il Rione ove si trova Palazzo Firenze, aveva preso il nome da Marte dio della guerra addirittura fin dal lontano tempo dei primissimi Re di Roma. Ma le “sorprese” culturali da parte della Coltissima Scienziata non erano finite lì in quanto, con il suo dolcissimo sorriso e la sua serenissima voce, mi chiese se sapevo che l’UNESCO, oltre a proteggere i vari Siti inseriti nella World Heritage List nella quale l’Italia era prima al mondo, in altri specifici elenchi proteggeva anche i Patrimoni Immateriali,  le Riserve della Biosfera e le Memorie del Mondo. Insomma nella eccezionale Persona che era Rita Levi Montalcini, anche in questa occasione rinvenni, per l’ennesima volta come nelle due precedenti occasioni, quello straordinario mix fra Altissima Scienza e Straordinaria Cultura da lasciarmi, nel contempo, sempre affascinato e piuttosto, più che felicemente, basito.

*Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale

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