di Arnaldo Gioacchini
Viale Glorioso nel popolare Rione di Trastevere a Roma si conclude, toponomasticamente parlando, in una grande scala di marmo composta da ben 126 gradini distribuiti su sei rampe ed è la seconda di Roma per lunghezza, dopo quella di Trinità dei Monti che di gradini ne ha 135 e supera di due quella dell’Ara Coeli che ne possiede 124.Essendo in una zona che si richiama molto all’epoca risorgimentale, in particolare a quella che fa riferimento alla Repubblica Romana del 1849, questa grande scala, che dagli abitanti viene chiamata, da sempre, “lo Scalone”, è intitolata ad un tamburino combattente durante gli scontri armati avvenuti fra i garibaldini e le truppe papaline e francesi proprio durante la suddetta Repubblica Romana del 1849. Che il suddetto “Scalone” si chiami la “Scalea del tamburino” sembra essere noto mentre invece è molto meno conosciuto il nome ed il ruolo del suddetto tamburino e di come, purtroppo, morì in battaglia. Andiamo per ordine: L’eroico tamburino era un giovane ciociaro e si chiamava Domenico Subiaco aveva appena diciassette anni essendo nato a Ripi, da famiglia contadina, il 4 dicembre 1832 ma nonostante la sua giovane età volle essere tra i difensori della Repubblica Romana. Essendo ancora di piccola statura non fu ritenuto adatto al combattimento e non gli venne affidato un fucile, ma fu nominato tamburino del I Reggimento Fanteria e come tale prese parte a più di una battaglia svoltesi sulle pendici del Gianicolo. Ma su come perse la vita in battaglia vale proprio la pena di affidarsi alla narrazione fatta in proposito da Ceccarius (all’anagrafe Giuseppe Ceccarelli, un giornalista romano nato nel 1889 e morto nel 1972; Ceccarius il quale è stato un importante studioso della cultura e delle tradizioni popolari romane e fu, a suo tempo, uno dei fondatori del Gruppo dei Romanisti) che scrisse: “Domenico suonò l’allarme e la carica. Poi, “al grido di “Viva l’Italia!’’ “Viva Roma!”, raccolse il fucile di un soldato caduto al suo fianco, spianandolo contro il nemico, ma una palla francese lo colpì nel mezzo della fronte”. Il tutto si svolse nella giornata del 3 giugno alle pendici del Gianicolo quando i garibaldini ed i volontari accorsi a difendere la Repubblica Romana rispondevano al fuoco dei francesi comandati generale Oudinot, che precedentemente erano sbarcati a Civitavecchia, e delle relative truppe pontificie. Ceccarius, da quel documentato storico che fu riporta, anche quanto visto da un testimone oculare il militare Camillo Ravioli: “dall’alto della porta di S. Pancrazio tirò a petto scoperto gettata l’uniforme e lo vidi io nel mattino di quel giorno stesso 3 giugno – da dieci a dodici colpi contro i francesi che assalivano il bastione ottavo, facendosi porgere l’arma carica dai compagni che gli erano di sotto, finché una palla nemica lo colpì nel parietale sinistro e lo gettò rovescio e moribondo a basso”. Solo nel 1891 la scalea presso il quale era caduto il ragazzo gli venne dedicata. Ma a parte quello non fu aggiunta nemmeno una targa con qualche nota biografica che aiutasse a identificare il suddetto “tamburino” di Ripi. Sicuramente molto meglio è stato fatto nel suo capoluogo di provincia di Frosinone che in piazza della Libertà ha raffigurato Domenico Subiaco, insieme a molti altri patrioti, in un monumento realizzato dello scultore Ernesto Biondi, è raffigurato insieme. Ed anche Ripi il piccolo comune ciociaro dal quale fu originario il tamburino della Scalea di Viale Glorioso ha dedicato, nel 1911, a Domenico Subiaco una lapide con su scritto fra l’altro “al suo figlio eroico che giacque sedicenne incitando gli eroi di Roma contro lo straniero invasore”.
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