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James Webb il telescopio spaziale che scruta la profondità dell’universo

È proprio il caso di dire perché questo straordinario telescopio spaziale si chiama James Webb, ecco il perché: “Il JWST, noto come “Next Generation Space Telescope” (NGST, da qui anche l’ appellativo di “successore di Hubble”), nel 2002 è stato intitolato a James Webb, Amministratore della NASA durante i programmi Gemini, Mercury ed Apollo che fu anche il fautore del Centro di Controllo del Johnson Space Center (JSC) di Houston nel Texas”. James Webb è un formidabile “prodotto” della grande scienza umana, che sta “viaggiando”, da pochi anni, nello spazio infinito andato  a sostituire Hubble (altro telescopio spaziale) che ormai conta ben 30 anni c.a. ma che ha fatto il suo “lavoro” in maniera impeccabile svelando molti misteri che appartengono all’infinito. Siamo entrati più nel dettaglio di Webb soprattutto grazie alla straordinaria disponibilità del Prof. Marco Tavani, il quale è in assoluto uno dei più importanti astrofisici del mondo, già Presidente dell’INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica – e, da anni,  Accademico dei Lincei.  Persona squisita e di grande Cultura dall’eccezionale curriculum nonché “papà” di Agile il satellite,  tutto italiano,  che è stato in orbita dal 2007. Agile che si è dedicato all’astrofisica gamma e x, e che, nonostante l’età, ha svolto le sue funzioni veramente molto bene. Dice il Prof. Tavani: “Lo specchio di Webb è sei volte più potente di Hubble e permette di vedere oggetti più lontani e più deboli. Soprattutto, lavora in una banda, l’infrarosso, poco conosciuta dai telescopi spaziali. Hubble aveva alcuni strumenti che arrivavano all’infrarosso, ma non con la precisione di James Webb che sta esplorando la nascita delle prime stelle dopo il Big Bang e gli esopianeti potenzialmente adatti alla vita.” Prosegue l’Accademico dei Lincei Prof. Marco Tavani: “La NASA, l’Agenzia Spaziale Europea e quella Canadese hanno investito 11 miliardi di dollari in uno strumento che è il nostro più importante agente nello spazio. Con il suo specchio di 6,5 metri di diametro capace di leggere la luce infrarossa è salito sulle spalle di un altro gigante (ormai invecchiato) quell’Hubble che comunque, con le sue meravigliose “cartoline”, ha costruito, uno scatto dopo l’altro, l’immagine moderna dell’universo. James Webb ha affrontato un mese di viaggio prima di raggiungere la sua meta a 1,6 milioni di chilometri di distanza dalla Terra entrando nell’orbita del Sole. Da lì, nel punto chiamato L2, in cui la forza di gravità della Terra e quella del Sole si bilanciano, si è mantenuto in costante allineamento col nostro pianeta. Terra e telescopio ruotano insieme attorno alla stella e Webb sta raccogliendo le immagini del cosmo più profondo dopo un periodo di taratura e calibrazione di tutti gli strumenti. Webb è riuscito a vedere i primi aggregati di materia e le prime stelle che si sono formati dopo il Big Bang, quindi, in pratica, la prima luce dell’universo. James Webb ha uno specchio composto da 18 segmenti esagonali fatti di berillio ricoperto d’oro e allineati con una precisione estrema, siamo nell’ordine delle decine o poche centinaia di micron di tolleranza spiega il Grande Scienziato italiano ed a proposito dei meriti italiani prosegue il Prof. Tavani: “La tecnologia degli specchi compositi è nata in Italia. Dopo la seconda guerra mondiale l’allora direttore dell’Osservatorio di Bologna, Guido Horn d’Arturo, realizzò il primo telescopio in questo modo. Ora quasi tutti gli strumenti, sia a terra che nello spazio, sfruttano il suo metodo”. Con le dimensioni di un campo da tennis Webb è il più grande telescopio spaziale mai costruito. È l’enorme specchio che raccoglie la luce proveniente dagli oggetti cosmici più lontani, mentre una vela leggerissima lo protegge dalle radiazioni solari e lo mantiene a una temperatura sufficientemente bassa. Raccogliere più luce nello spazio vuol dire guardare più lontano. E guardare lontano vuol dire andare indietro nel tempo, cogliere le istantanee dei primi oggetti che si sono formati dopo il Big Bang. “Osservando la prima luce dell’universo stiamo raggiungendo i limiti delle nostre possibilità di esplorazione” commenta il Prof. Tavani. Il suddetto telescopio, per poter funzionare, ha dispiegato sia la vela che lo specchio con i 18 esagoni. Il tutto da solo, nello spazio  e con la massima precisione. È stata un’operazione delicatissima, come dettoci dall’Esimio Professor Tavani, che a terra è stata provata mille volte, ma che, per “fortuna”, è stata replicata brillantemente anche nello spazio. La sensibilità del James Webb è 100 volte superiore rispetto a Hubble. Rispetto al suo predecessore, il giovane telescopio esplora l’universo nella banda delle radiazioni infrarosse. Dunque osservare le nubi di gas e polvere dove le stelle si formano e iniziano a scintillare, laddove Hubble scatta le sue fotografie usando soprattutto la luce visibile e l’ultravioletto. Sono oltre 30 anni che la NASA lavora a questo progetto, più o meno da quando Hubble ha iniziato ad operare. Se il “vecchio” telescopio è riuscito a guardare oggetti con un’età di 400 milioni di anni rispetto al Big Bang (che si stima sia avvenuto 13,8 miliardi di anni fa), il James Webb può arrivare a soli 100 milioni di anni dopo la nascita del cosmo. Insomma, e “teniamoci forte”, perché comunque, pensandoci bene, un grande brivido, attraversa noi piccoli granelli di polvere nel vento, di fronte alla Profondità dell’Universo che James Webb sta esplorando.

                                                                                         Arnaldo Gioacchini

 

 

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