Cerveteri Litorale

Ceri, il luogo, le origini geologiche, la storia e le leggende

A parte la recente “prebenda”, affatto trascurabile, di oltre un milione di euro da parte dei Beni Culturali e la via di Ceri che è interrotta da una frana, Ceri è estremamente interessante per altri motivi sia geologici che storici intessuti da molte leggende, tutti argomenti che cercheremo qui di spiegare.Il borgo di Ceri non si annuncia molto da lontano e si svela solo dopo una curva con una immagine smozzata da una gran bella flora boschiva e non solo (c’è anche una gran bella agricoltura) che è una delle caratteristiche “fondanti” di questo luogo; immagine quasi di una creazione magica per non dire stregonesca. Eppure la rocca di Ceri si impenna e si impone in una verticale che schizza da quota zero fino ad altimetria di centocinque metri. Si tratta di un “microscopico” borgo arroccato, nel vero e proprio senso del termine, con un accesso “filmico” da una strada tortuosa con i veicoli regolati, a senso unico alternato, da due semafori sintonizzati uno su in rocca ed uno giù nella piana. Geologicamente parlando la piattaforma di Ceri, come  quella di Cerveteri, proviene delle colate piroclastiche figlie di quello che fu l’attivissimo vulcano Sabatino (ora lago di Bracciano); colate la più caratteristica delle quali, in tutta la zona, è quella ignimbritica relativa alla formazione del tufo rosso a scorie nere che ha uno spessore massimo di quindici metri. A tutt’oggi non si è ancora in grado di dire se, in un’area marcatamente etrusca a tutto tondo, il “Popolo che Sorride” abbia dimorato anche sopra alla Rocca anche se poi l’accesso, a “tagliata etrusca”, sembrerebbe suggerirlo subito ad introibo. La storiografia disponibile ci dice comunque che il borgo, come si fa ammirare oggi, risale esattamente al 1236 (ma c’era stato già un precedente insediamento del VII secolo) quando gli ormai sparuti e spauriti abitanti di  Caere (Cerveteri) si rifugiarono qui dandogli il nome di Caere Novum (Cerveteri Nuova) tramutato successivamente in Ceri. Il maniero, che ancora troneggia, fu costruito proprio in quel periodo come presidio sorvegliante, con tanto, ovviamente, di corpo di guardia piazzato pure sulle garitte della porta di accesso. Ed a proposito di difesa ancora si vedono inglobate  nelle mura merlate i resti di ben otto colpi di spingarda e chissà che non risalgano all’epoca in cui Cesare Borgia, detto il Valentino, (figlio e generale del molto chiacchierato papa Alessandro VI Borgia), con il supporto tecnico del mitico Leonardo da Vinci come architecto et ingegnero militare (de vulgari eloquentia) assediò, per 36 giorni, Ceri difesa da Renzo da Ceri (figlio di Giovanni Orsini signore di Ceri) cannoneggiandola intensivamente. Andando ai proprietari della zona di Ceri dopo i Normanni, che ne furono i primi padroni, vi è stato tutto un susseguirsi di famiglie nobili che si sono succedute con i loro gonfaloni: gli Anguillara, gli Alberteschi, i Cesi, gli Orsini, i Borromeo, gli Odescalchi e poi, in ultimo, i Torlonia che ivi ancora posseggono vaste porzioni del territorio. Non potevano mancare, in un luogo sì piccolo ma così intensamente vissuto, episodi nei quali storia e leggende si missano quasi in un unicum che non fa altro che accrescere l’alone “misterico” della zona (per inciso si narra pure della frequentazione, in un certo periodo, di biechi gruppi briganteschi che indulgevano anche in rituali esoterici e semipagani). Ben due leggende sono legate alla figura di Felice arcidiacono della Chiesa Romana divenuto papa come Felice II (un antipapa) per nomina dell’imperatore Costanzo II il quale aveva esiliato in Tracia  papa Liberio. Felice II fu decapitato proprio a Ceri il 22 novembre del 365 d.C. e di Ceri è divenuto, successivamente, il Patrono con tanto di celebrazione effettuata il 29 luglio di ogni anno. I resti mortali di papa Felice II si trovano ora nella chiesa della Madonna di Ceri dopo che inizialmente furono inumati in una tomba etrusca nel luogo stesso ove era stato decollato (luogo dove poi sorse la chiesa di San Felice che attualmente è totalmente  degradata). Andando alle due leggende, legate molto ma solo ad una ricorrente vox populi la prima riguarda “il miracolo dei buoi” i quali, si dice, si rifiutarono di recare a Roma le spoglie di San Felice. La seconda ha connotazioni ancora più sovrannaturali: Regnante papa Gregorio XIII le autorità ecclesiastiche cogitarono sul fatto se Felice II poteva o meno annoverarsi a buon diritto fra i papi e credendo che un aiuto “divino” al dibattito potesse venire dall’esame delle spoglie del sant’uomo fecero aprire il sarcofago e con grandissimo stupore  sul corpo di Felice trovarono inscritte le parole Papa e Martire.

                                                             Arnaldo Gioacchini

 

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