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L’incastellamento nella Campagna Romana

Quanto verrò qui di seguito scrivendo vuol essere un modesto omaggio al grande storico medioevista   Pierre Toubert ( 1932     2025  ), che . tra l’altro ha fatto oggetto dei suoi studi, le strutture agrarie e le fortificazioni , che si sono sviluppate nel Lazio.In particolare lo studioso francese nel 1973 svolse la tesi di dottorato dal titolo Les structures du Latium médiéval, due volumi descriventi le ricerche di storia sul territorio del medioevo nell’Italia centrale, più specificatamente il Lazio meridionale e la Sabina, concentrando gli studi in una finestra temporale nell’arco di tre secoli: dal IX secolo alla fine del XII. Egli descrisse il fenomeno dell’incastellamento, analizzando, nello specifico, la progressiva trasformazione dall’insediamento sparso a villaggi fortificati. A buon diritto le analisi  e le descrizioni del Toubert seguono e approfondiscono quelle  di Gregorovius  e del  Tomassetti  (storico di fine Ottocento), del Rosati e anche del Nybbi. Fatta questa premessa, è utile ricordare che, con il  tracollo dell’ Impero Romano d’Occidente, si avvia un generale  spopolamento delle aree costiere  del Lazio e verso Palidoro si forma una vasta zona acquitrinosa. Con le successive vicende legate alla guerra greco – gotica nella Campagna Roma si profila   un ulteriore spopolamento. Anche  l’Aurelia  ed il territorio, che questa attraversa,  ne risentono. Il Pintacuda provvede a descrivere la situazione, che si viene a creare richiamando l’ avventuroso viaggio  verso le Gallie di Rutilio Namaziano, poeta e nobile romano,  insignito del titolo  di praefectus urbis: Era ormai impossibile viaggiare per via di terra: la via Aurelia e le altre strade consolari, dopo l’invasione dei barbari, erano danneggiate e impercorribili, soprattutto a causa del crollo dei ponti (cfr. “De reditu suo”, I 37-42); dovette dunque( Namaziano ) partire per mare, fra l’altro evitando di spingersi al largo (i mari, decaduto il controllo romano, non erano più sicuri) e percorrendo un curioso itinerario lungo la costa tirrenica, una sorta di antico “periplo” a poca distanza dalla terraferma.  (Diarium – blog di Mario Pintacuda sul De reditu di Rutilio Namaziano ) E’ opportuno sottolineare che il viaggio di Namaziano risale al 417 d.C. ,di pochi anni posteriore al saccheggio di Roma  di Alarico, re dei Visigoti  del 410  d.C. Ma la situazione non dovette essere migliore nei secoli seguenti come scrive   l’erudito,  Antonio Coppi, vissuto ai primi dell’Ottocento,   nella sua “  Storia dei luoghi una volta  abitati nell’ Agro romano”.“Ed ora queste contrade, che furono così popolate di gente … non son ridotte  che a  squallide e deserte campagne… “   A reagire allo sfacelo che si andava profilando, già in epoca tardoantica, vale a dire da V secolo in poi, si può dire che è solo la  Chiesa , forte di una solida struttura organizzativa  e delle ricchezze e possedimenti terrieri, frutto di donazioni  anche da parte dei nuovi conquistatori. Con papa Zaccaria nascono  le  domus cultae. La domus culta era un particolare forma di vasta azienda agricola nei patrimoni monastici  e papali diffusa tra i secoli VII e X. Le domuscultae erano anche circoscrizioni territoriali incentrate su una chiesa ed una casa di amministrazione ed erano composte da numerosi piccoli centri agricoli piuttosto distanziati tra loro. Questi centri dipendevano direttamente dalla Chiesa di Roma che li gestiva  attraverso i propri funzionari chiamati actionari Inoltre ogni domusculta disponeva di case con mulini, magazzini, ospizi, ed ogni altra struttura necessaria al funzionamento del centro. Le domuscultae  rivitalizzarono le aree depresse, del territorio , spopolate da secoli di instabilità politica La gestione del territorio intorno non avviene solo con  le domus cultae. Il papato cede i suoi terreni in enfiteusi che è un contratto agrario di affitto in base al quale  il piccolo proprietario ( concessionario ). sgravato da tutti gli oneri fiscali  conduce il terreno  e cede una parte dei frutti  al concedente. L’enfiteusi, in questo contesto, fu uno strumento per gestire e sfruttare queste terre, spesso incolte o di difficile coltivazione, affidandone la gestione a terzi dietro il pagamento di un canone e l’impegno a migliorarle. Ma… latet anguis in herba. Se il concessionario è un contadino nulla quaestio, se invece è un contadino arricchito o un potente poteva accadere  che il  concessionario installasse una torre o piccolo castello – con guarnigione militare  sulle terre concesse. Questo istituto  dell’ enfiteusi fu ampiamente utilizzato nella Campagna Romana ,e fu  spesso  legato alla figura dei baroni, potenti famiglie aristocratiche che già possedevano vasti latifondi. La presenza della Chiesa e la sua occhiuta vigilanza non impediscono,   che tra il X e XI secolo i baroni  tendano a rendere ereditario il loro beneficio e a non riconoscere più il canone dovuto all’ autorità pontificia: è il momento della feudalizzazione della Campagna Romana. Le famiglie baronali romane ebbero un forte impatto sulla Campagna Romana, esercitando un’influenza significativa sul territorio, l’economia e la società. Le loro proprietà terriere, spesso vaste estensioni di terra, erano gestite attraverso casali e dedicate all’agricoltura e all’allevamento, impiegando lavoratori salariati. Questa presenza baronale, sebbene radicata nel territorio, contribuì anche a un certo grado di arretratezza “feudale” nel Lazio moderno, con l’abbandono delle terre pianeggianti e il conseguente aggravamento di problemi come l’impaludamento e la malaria. Le famiglie baronali spesso cercarono di estendere la propria influenza e autonomia, entrando in conflitto con il papato per il controllo del territorio, delle risorse e delle nomine ecclesiastiche. Tuttavia, non mancarono momenti di alleanza, soprattutto quando gli interessi dei baroni coincidevano con quelli del papato in questioni di politica estera o contro nemici comuni, come nel caso della Pax Romana del 1511. Le rivendicazioni dei baroni, da un punto di vista insediativo, ridisegnano lungo la via  Aurelia un panorama diversificato  e complesso. E così abbiamo, tanto per citare qualche nome,  il “ Castrum  quod congnominatur de Guido” secondo gli Annali Camaldolesi del  1073, presso la statio di Lorium. All’ epoca è incerta l’esistenza del castello ( castrum ) di Maccarese, in quanto notizie precise se ne hanno solo  a partire dal tredicesimo secolo. E doveva  già essere costruita  la Torre dell’ Acquafredda, ( quasi a ridosso del GRA ) così chiamata per una leggenda legata a Teodorico.  Torre semaforica o giurisdizionale? Il  “castrum Pali”  degli Alberteschi, sul litorale ladispolano, non era ancora diventato il magnifico castello castello rinascimentale che oggi ammiriamo. Più nell’interno, verso la via Clodia, doveva già  aver assunto la funzione di controllo strategico  il borgo fortificato di  Ceri, sorto su un pagus etrusco, di cui è nota l’esistenza  fin dal 1054. Purtroppo   le fonti storiografiche cui attingere  sono scarse, per il periodo dei secoli di ferro X e XI,  le medesime  datano dal XIV e dal XIII secolo. Né un grosso aiuto viene dall’archeologia perché  “le attività di scavo hanno carattere di episodicità “ (J.Bugli 2011 ) Queste pur frammentarie notizie bastano a dare un’idea della particolarità della  “feudalizzazione” in un  angolo della Campagna Romana, feudalizzazione piuttosto “ anomala”, che attende più approfonditi studi ed una migliore conoscenza del territorio. Il   castrum caerense. Si muniscono di torri e fossati, sulle sommità tufacee, in quello che era “l’ager Caeretanus”, i manieri di Ceri, Selva la Rocca, il Sasso e Castel Campanile, segno dello spezzettamento territoriale e della militarizzazione feudale. Con le sue fortificazioni Caere diventa il castrum Caerense. Occorre tener presente, in proposito che, a differenza di altre zone d’Italia, nella Campagna Romana il feudalesimo non nasce per investitura regia o imperiale ma dal tentativo dei nobili locali ( non sempre riuscito e talvolta perseguito con vere e proprie azioni militari  ) di affrancarsi dalla Curia Romana.  A Cerveteri un esempio è dato dalla ribellione dei Crescenzi, già conti della Sabina, al papa Gregorio V. Ad impedire, poi, il sorgere e l’affermarsi di una borghesia artigiana e mercantile è il perdurare del latifondo. I signori feudatari, che si contendono il potere locale, sono i proprietari di vasti possedimenti che destinano unicamente a colture estensive ed al pascolo. E’ un mondo statico e chiuso, impermeabile alle riforme ed al progresso che durerà molto oltre il fenomeno delle signorie feudali.  Solo stagionalmente queste terre  registrano l’arrivo di poverissima gente ( braccianti e “guitti”) venuta soprattutto dagli Abruzzi e dalle Marche e che finirà con il ripopolare le campagne e stabilirsi definitivamente in queste zone. Un altro fattore condizionante è la vicinanza a Roma. In proposito riferisce Enrico Guidoni, nella prefazione della ricerca su Cerveteri condotta da Maria Baldoni ( 1989, p.8 )“ Le vicende di Cerveteri rientrano nella tematica feudale, che comprende gran parte dei centri del Lazio, soprattutto quelli che, più vicini a Roma e meno consistenti dal punto di vista  economico e demografico, hanno dovuto sottostare a precisi limiti che ne hanno impedito ogni possibile autonomia rispetto alle istituzioni romane.” Roma, anche quando non è più la capitale di un impero e quando ancora non è diventata la città dei Papi, continua ad imporre il suo destino egemone sulle terre di quello che sarà chiamato Agro Romano o da altri Campagna Romana. In seguito ogni spirito di riforma, quasi ogni vento di apertura socio-politica, dovrà fare i conti con il potere occhiuto ed accentratore dello Stato Pontificio. Pertanto si afferma un Medioevo senza clerici vagantes e cavalieri in cerca di gloria, dominato dalla nobiltà terriera con il suo contorno di fattori, gabellotti e guardie di campagna. Ma il vero volto di queste campagne è costituito dai “servi della gleba”: come altro definire i pastori e i lavoranti, come afferma il Rosati (già citato), “stanno pigiati e corichi su giacigli detti volgarmente rapazzuole, intrecciati di rami d’alberi e di pochi cenci”? Qui  una povertà endemica colpisce la popolazione che vive intorno al palazzo del signore di turno – dai Venturini, ai Cybo anche se  con gli Orsini, cui aggiungo i Torlonia,  e poi con i Ruspoli vi è un indubitabile e limitato  risveglio, ma siamo già in pieno Rinascimento e Controriforma. A partire dal secolo IX, per arginare il pericolo delle invasioni saracene, vengono adottate misure difensive che prevedono la dislocazione di torri di avvistamento lungo il litorale, per lo più costruite su siti rocciosi a picco sul mare, quali avamposti destinati alla segnalazione dello stato di allarme e, di conseguenza, consentire alla popolazione di asserragliarsi nelle limitrofe strutture fortificate (Castrum Neptuni, Castrum Pratica, Castrum Fusani). Intorno alla metà del XV secolo, nello Stato Pontificio, caratterizzato da frontiere soprattutto marittime purtroppo non sufficientemente ben difese , si dà luogo al revisione di tali apparati fortificati sia dal punto  di vista strutturale sia istituzionale. Ogni dispositivo, di semplice vigilanza foranea o di allertamento, non esula dal puro ambito zonale, con risultati notoriamente tragici; non di rado le fortificazioni, cui si affidano nuclei urbani costieri, mostrano una preoccupante arcaicità: vecchi castelli medievali, spesso in condizioni fatiscenti, cerchie urbiche ultrasecolari, cadenti e accomodate alla meglio, torri pericolanti di notoria inutilità. In pratica, al riesplodere delle incursioni turco-barbaresche, risulta inevitabile la riorganizzazione nonché la costruzione di un sistema di difesa militare e costiera senza alcuna ulteriore procrastinazione. Già l’esperienza altomedievale ha perfettamente evidenziato la gravissima esposizione di Roma alle incursioni dal mare e, poiché nulla da allora viene realizzato per stornare in qualche modo tale inevitabile rischio. Oggi, tutte queste vicende guerresche e di colonizzazione  si leggono ( chiaramente ) nella Campagna Romana e sulle coste attraverso ruderi, ma anche attraverso casali e castelli che andrebbero meglio conservati, in ambiente che ricorda il latifondo di ieri. Grazie anche ad una più intensa attività degli enti di tutela e alle connesse indagini sul campo – negli ultimi decenni sono stati acquisiti, sperimentando aggiornati metodi di raccolta delle informazioni, innumerevoli dati sulle forme di occupazione e di sfruttamento dell’Agro (vie, impianti e tracce di coltivazione, luoghi di culto, necropoli…), visualizzati nella Carta archeologica. Le relazioni scientifiche, le discussioni, le tavole rotonda finale hanno permesso di fare il punto, ma anche di lanciare un allarme : che una sempre migliore conoscenza del territorio serva almeno a frenare la totale cancellazione di quella “campagna romana”, della quale artisti e scrittori celebrarono un tempo la bellezza.

                                                                                                                                                                        Silvio  Vitone

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