di Mauro Coni
Anya sapeva di essere un uccello. Sapeva di aver volato, di essersi trasformata, di esser giunta sulla Terra per un motivo. Questo motivo non le era chiaro. Si guardava intorno confusa, l’uomo è una creatura ben strana. Fa cose insensate, spesso malvagie, come se disprezzasse se stesso. Se solo sapesse che la Bellezza è la vera risposta! Che la Bellezza stessa è la prova che tutto è perfetto, e che l’anima in pace con Dio è un’anima felice. “Purezza”: era una parola che amava. Per lei era facile. Era come volare sfruttando il vento, non le costava fatica. Ma non poteva parlarne, o meglio, avrebbe potuto, ma era come barare. Usare il linguaggio per esprimere le cose sacre è un grosso errore, che molti commettono, ma solo un poeta può inoltrarsi in territori così delicati. Ogni giorno sperava di ispirare, di contagiare, con la sua leggerezza, con la facilità del suo volo. Con la profondità segreta del suo mondo interiore. Voleva far luce, c’era già abbastanza buio in circolazione. Un pittore la vide, che passeggiava con un’amica. Anya era vestita in modo semplice, con un paio di jeans, una camicetta rossa e delle sneakers bianche. Sorrideva mentre parlava, e quel sorriso aveva qualcosa di vago e magnetizzante che non riusciva a spiegare. L’avrebbe spiegato in un quadro. Si avvicinò alle ragazze e disse: “L’unico peccato è non riconoscere la Bellezza”. Le due amiche si guardarono imbarazzate. “Sono un pittore e ti ho notata – disse rivolgendosi solo a lei – amerei molto ritrarre il tuo viso” “Mi spiace ma non faccio la modella” “Sarà la tua prima volta allora. Questo è il mio biglietto, scrivimi quando vuoi. E buona passeggiata!”. Anya ci pensò per qualche giorno. Quell’uomo in fondo amava la Bellezza, che c’era di male? Voleva celebrarla in un quadro. Il suo viso sarebbe rimasto intatto, eterno, sopravvissuto al tempo. Decise di accettare ma prima gli scrisse un messaggio: “Verrò solo a una condizione: dovrai dipingere quello che vedi, senza aggiungere o togliere niente” “Ma certo, è questo che cerco, la verità!”. Alla prima sessione di posa la fece sedere su un panchetto coperto di velluto. Studiò la postura, la luce, le diede qualche indicazione. Lei era docile e silenziosa ma estremamente concentrata. Mentre la dipingeva e passavano le ore cercava di penetrare il suo enigma e di capire perché aveva scelto lei: che cos’ha una Musa che le altre donne non hanno? A quella domanda non c’era risposta purtroppo. L’unica accettabile è che un artista sa quando incontra una vera Musa, non ha alcun dubbio, ma è una sensazione e non un ragionamento. Dopo tre mesi e diversi incontri il quadro fu pronto. Il pittore non era del tutto soddisfatto: la vera Anya era molto più bella e complessa del suo ritratto. Ma ci aveva messo tutta la sua maestria, la sua tecnica e passione, e nessun pittore può eguagliare la natura. Anya trepidante si precipitò da lui. Si aspettava molto, finalmente aveva trovato un modo per far arrivare il suo messaggio al mondo. Quando il pittore scoprì il quadro la sua emozione fu grande: era come vedersi allo specchio ma uno specchio che non mostra la tua immagine ma la tua essenza. Era così felice che si sentiva esplodere. Oh mio Dio, che sta succedendo, calmati Anya, calmati per favore! Ma la gioia è selvaggia e non si fa imprigionare: davanti al pittore esterrefatto ella mutò in un grosso uccello dorato, striato di rosso e di blu, e volò fuori dalla finestra aperta
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