Il calcio è il gioco più bello del mondo. Capace di regalare emozioni, scariche di adrenalina, gioia irrefrenabile. Ma è anche un gioco maledetto, implacabile, che non perdona. L’unico che in un batter di ciglia ti catapulta dall’inferno al paradiso e viceversa. Chi era ieri allo stadio Tamagnini per assistere alla semifinale di ritorno della Coppa Italia di Eccellenza tra Civitavecchia e Cimini è in grado di comprendere fino in fondo l’essenza dell’introduzione al nostro articolo. Ieri abbiamo assistito alla sintesi dell’unicità del calcio, alla sublimazione delle emozioni allo stato puro, alla consapevolezza che nessun sport su questo pianeta può minimamente eguagliare il football come fonte di brividi lungo la schiena.

Dietro il 3-1 con cui il Civitavecchia ha ribaltato lo 0-1 della gara di andata, conquistando meritatamente la finale di Coppa Italia contro il Tivoli del 23 febbraio, c’è una partita che è andata oltre il semplice significato di una gara di calcio. C’era una città intera allo stadio Tamagnini a spingere il Civitavecchia verso l’impresa, una tifoseria che per calore e passione meriterebbe ben altri palcoscenici nazionali. Di fronte c’era la Cimini, squadra che da sempre riesce ad ottenere risultati straordinari pur non avendo tifosi, anche ieri solo un manipolo di dirigenti, familiari e pochi coraggiosi fans hanno sfidato l’arena del Tamagnini per sostenere i gialloneri. Uno stadio trasformato in fossa dei leoni, una battaglia corretta ma durissima in campo, per l’ennesima volta Civitavecchia – Cimini ha regalato valanghe di emozioni e sensazioni. Il risultato del prato verde lo conoscete, con un finale da film thriller, in trenta secondi, le squadre si sono scambiate il biglietto per il viaggio all’inferno e ritorno. Sul 2-0, peraltro meritato, il Civitavecchia sognava la finale, al terzo minuto di recupero la Cimini ha segnato la rete che avrebbe rappresentato l’accesso al sogno, dopo mezzo minuto i padroni di casa hanno trovato il terzo rocambolesco goal che ha mandato in estasi una città intera. Un’altalena di emozioni che, aldilà del tifo, ha regalato un pomeriggio indimenticabile per chi ha avuto la fortuna di assistere al match. Onore al Civitavecchia che ora, privo di alcuni titolari, dovrà tentare l’impresa improba contro il Tivoli, macchina da guerra che ha vinto 16 gare su 17 in campionato. Dopo trent’anni il club nerazzurro tornerà a giocare una finalissima di Coppa Italia, avrà centinaia di tifosi al seguito, in bocca al lupo al mister Massimo Castagnari con l’augurio di riportare questo prestigioso trofeo nell’alto Lazio. Del Tivoli inutile aggiungere altro, attualmente è la squadra dilettantistica in assoluto più forte del Lazio, come confermano i numeri.

Ma onore anche alla Cimini del mister Marco Scorsini. Squadra che vince pur non avendo tifosi. Squadra al secondo posto in campionato che può centrare la promozione in Serie D. Squadra che ieri a Civitavecchia ha giocato forse non bene, ma ha dato l’anima, ha combattuto su ogni pallone, riuscendo ad arrivare a mezzo minuto dall’impresa di centrare la finale contro un avversario fortissimo. Ed onore alla Cimini che al Tamagnini in quel surreale finale ci ha fatto capire quanto sia bello e crudele il calcio. Un consiglio alla Cimini, club verso il quale, inutile nasconderlo, il nostro giornale nutre una evidente simpatia: si può anche perdere in modo sportivamente atroce come ieri, ma resta il cammino percorso, restano le emozioni, restano le partite vinte anche in momenti in cui si scendeva in campo senza otto titolari. Resta una stagione tutta da giocare, rialzarsi dopo una sconfitta così beffarda può essere la catapulta per tornare a correre come e più di prima. E’ vero, è atroce svegliarsi da un sogno così bello, ma quanto è stato bello viverlo? Chi potrà mai dimenticare le emozioni e l’adrenalina esplose quando è andato in rete il goal del 2-1?
Chiudiamo con una frase diretta a chi sa di essere il destinatario. Certe illusioni… C’è chi le vive e chi se le sogna!
Gianni Palmieri

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