di Ugo Russo
La risposta al titolo/domanda è immediata: SI, ma pensando a quello che era una volta la nostra società basata sul rispetto, sul voler approfittare degli anni scolastici per una accentuata sete di sapere e per cercare di crearsi una posizione e un ruolo nella vita; in più cercare di trovarsi una occupazione una volta raggiunto il titolo di studio desiderato per non pesare più sul bilancio familiare, ovvero cominciare a dare una concreta mano a casa finché non si decideva di andare ad abitare per conto proprio. E’ chiaro che la nostra vuole essere una provocazione tenendo presente come sono cambiate le cose (nettamente in peggio) ma è giusto fare dei distinguo poiché o si riportano le situazioni su un giusto binario oppure veramente bisogna cominciare a dubitare di tutto e a capire cosa è giusto fare o meno. Fino a qualche decennio fa all’interno dell’istituto scolastico c’era gente motivata, a cominciare dai professori che se erano politicizzati lasciavano le proprie tendenze partitistiche a casa, e pur a fronte di stipendi non “memorabili” sapevano di dover affrontare una vera e propria missione, ritenendo quasi dei figliocci i loro studenti. In più c’erano figure di assoluto riferimento come il bidello, un vero e proprio confidente dei ragazzi e il preside, sempre presente e autoritario il giusto per far andare tutto nella maniera migliore. Gli alunni o se volete gli studenti recitavano al meglio la loro parte, esercitavano in maniera sempre producente i valori che avevano imparato ed acquisito in famiglia ed in primis il rispetto verso le autorità sopra citate. Mentre la famiglia era chiamata all’educazione dei figli, la scuola provvedeva alla formazione dei giovani. Nessuna voleva invadere la sfera di comportamento dell’altra. Alla fine dei cicli di studio uscivano fuori ragazzi e ragazze preparati ed in grado di affrontare i vari aspetti della vita con cognizione di causa.
Successivamente le scuole hanno cominciato a politicizzarsi; sono subentrati (alcuni, non tutti per fortuna) professori incazzati per questioni sociali e perché hanno cominciato a far pesare i loro stipendi insufficienti; si sono ridimensionati fin quasi a sparire i bidelli che, altro che consulenti, vista la mala parata per l’introduzione sempre più repentina della violenza hanno cominciato a far leva sul famoso detto: “io non parlo, io non vedo, io non sento”, ergo “se famo l’affaracci nostri”; hanno cominciato a proliferare i branchi, capeggiati dal più sozzo del gruppo, tutto tatuato, dal linguaggio scurrile, dai modi da intimorire non solo i compagni di classe o gli altri componenti ma l’intero personale didattico. Tanto da continuare le loro bravate anche fuori, in strada, con furti, aggressioni, riprovevoli episodi di bullismo; proprio i maestri e poi i professori che un tempo venivano salutati al loro ingresso in classe alzandosi in piedi, oggi, ben che vada, si beccano il cancellino in faccia o, peggio, cazzotti se non addirittura coltellate. Il fatto, poi, di far parte di questi branchi li fa sentire ancor più forti e potenti, si arrogano il diritto, dai 12 anni in poi, di dare lezioni a tutti, agli anziani per primi e il tutto viene peggiorato da quei plessi dove cominciano a girare sostanze proibite. Dice: “E che diamine, tutto così brutto e negativo è?”. Provate a starci i giorni interi all’interno delle aule e dell’intera scuola; voi lasciate i vostri figli (se vi permettono di accompagnarli, perché si offendono pure di quello, specie se voi, padre o madre, vi mettete in posa per ricevere il bacetto di saluto sulla guancia. Se li vedono i compagni/amici (gli unici a cui confidano tutto, la famiglia è solo un optional atta solo a sborsare soldi) li prendono in giro e comunque gliela fanno pagare per l’intero giorno. Che quadro apocalittico!!!!! Guardate che si sta andando avanti proprio così, bisogna resettare tutto se non si vuole procedere sempre peggio…Il bello arriva quando si devono dare i voti e molto spesso i cari virgulti vogliono metterseli da soli o turbare a tal punto l’insegnante da portarlo ad espletare le loro decisioni. Così nascono i somaroni, che non studiano, che non hanno alcuna voglia di imparare e anche negli esami universitari non sanno nulla e men che meno conoscono i personaggi, le scoperte, le materie basilari ivi comprese le operazioni numeriche e tutto quello che ha fatto grande l’umanità. E prendono lauree farlocche che manifestano la loro inutilità. Per fortuna ho già scritto più volte che non è la totalità di questi studenti che dà preoccupazioni, che spesso fa le cose al contrario di quelle che si dovrebbero fare. La percentuale di quelli che si salvano e danno soddisfazioni si riduce, però, giorno dopo giorno e siamo arrivati al massimo a un 20 per cento di quelli di cui andare fieri. E la scuola, purtroppo, per come è strutturata oggi ha non poche responsabilità per tutto questo. Più controlli? Più attenzione a quanto avviene all’interno degli istituti scolastici? Un ritorno a una graduale severità da parte delle figure istituzionali più importanti? Chissà se ciò basterebbe, essenziale, in ogni caso, cominciare a cambiare rotta. Anche perché la famigerata intelligenza artificiale non contribuirà a creare nuovi Einstein ma dato che ti fanno tutto le macchine, i computer, i telefonini, l’imbecillità umana raggiungerà livelli ancora peggiori. Ma tornando al discorso negli atenei. E’ proprio qui e in alcuni istituti superiori che stanno nascendo i problemi più grossi. Con la scusa di manifestazioni, assalti a locali dove si svolgono incontri o presentazioni di libri, cortei più o meno riconosciuti o permessi, convinti da burattinai ben infiltrati nella massa di persone, vengono spesso a contatto con le forze dell’ordine che, dopo essere state vituperate (e ferite) con sputi, calci, cazzotti e schiaffi (ci sono tante immagini che parlano chiare) si lamentano che contro di loro vengono usati i manganelli. Il “futuro roseo della nostra nazione” va lì per non andare a scuola e sta mesi senza frequentare, senza realmente sapere, se non generalizzando, i motivi delle proteste. Va per avere sfogo, per pomiciare con la compagna o altro elemento dello stesso sesso e poi vengono contrastati perché fanno parte di cortei non autorizzati. Ci sono almeno altri due aspetti (non trascurabili, anzi…) che allontanano e intiepidiscono assai la voglia di passare tanti anni seduto dietro le varie scrivanie, dalle elementari all’università, per poi, alla fine, difficilmente trovare un posto di lavoro nella specializzazione in cui ti sei laureato (a meno che non scegli certe facoltà, ad esempio medicina dove c’è assolutamente bisogno) e soprattutto se non ti va di cercarlo, il lavoro; hai fatto spendere ai genitori una valanga di euro e poi, laddove riesci ad occuparti bene, ti cominciano a dire che, rispetto alla media guadagni troppo. Così i compagnucci stanno imperversando per cercare di introdurre il salario minimo di almeno nove euro l’ora. Non hanno specificato se netti o lordi, cosa che molti stra-laureati, una vita sui libri, non prendono neppure dopo anni di carriera. E poi vai a pensare che li dovrebbero prendere anche quei fannulloni che non hanno voglia di fare nulla e sarebbe un reddito di cittadinanza molto più corposo e forse raddoppiato. Li dovresti impiegare pur non sapendo fare alcun lavoro. E ancora aiuterebbe soprattutto gli extracomunitari e affosserebbe di più i nostri connazionali, quelli che veramente hanno voglia di lavorare. L’altro aspetto riguarda un’atavica questione del dover obbligatoriamente andare oltre la terza media (quella, almeno, va terminata per forza). Invece tu finisci gli otto anni canonici (cinque di elementari e tre di medie inferiori) poi, anche da autodidatta o con corsi professionali brevi, ti crei una tua specializzazione, poi ne riparliamo. Vai oggi a chiamare un idraulico (a Roma lo definiscono ancora stagnaro): per un lavoretto da nemmeno un’ora servono almeno 300 euro; e se devi sistemare il giardino, ogni volta non bastano 500 euro per 2-3 ore di lavoro; e ancora, l’elettricista, il muratore, il corniciaio, il fabbro e via dicendo. Ma no, queste per i nostri cari giovani non sono attività che li interessano, primo perché, comunque, sono lavori di fatica e poi perché li toglieresti all’unico vero motivo della loro vita: gli amici (e se sono poco raccomandabili è ancora meglio). Conclusioni sull’argomento dell’articolo: insomma, conviene andare a scuola? La provocazione si è trasformata in un bel numero di aspetti negativi.
Continuando così e non modificando molte cose, ritornando a prendere spunti dal passato, forse bisognerebbe pensare alla figura dell’aio, del precettore che dovrebbe andare casa per casa per insegnare come si deve le materie. Come dite? Costerebbe troppo? No, perché con gli stipendi erogati dallo stato si potrebbero impiegare i maestri e i professori che già operavano a scuola. In tal modo si annullerebbe lo spirito di aggregazione che si avrebbe solo facendo frequentare tra loro i ragazzi? Intanto uno si tirerebbe fuori dai presidi scolastici, e, dopo gli orari dedicati allo studio, potrebbe scegliersi le amicizie da frequentare anche se il vero e sano spirito di aggregazione è finito con la chiusura degli oratori.
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