Ladispoli Litorale Racconti

Dell’infinito amore, il nuovo racconto di Mauro Coni per i lettori di Ortica Social

di Mauro Coni

Stava calando la sera e m’infilai in una chiesa. Mi capitava talvolta, durante le mie passeggiate, di cedere a questo impulso, se ne trovavo una aperta. Non sono un cattolico praticante, piuttosto un peccatore abituale, come tutti del resto. Mi trasmette un senso di pace, di raccoglimento, posso connettermi a qualcosa di superiore, che non riguarda la religione ma le profondità di ogni individuo. È uno spazio sacro. La lunga navata era illuminata di giallo, una luce che ti scaldava dentro. C’erano solo sei o sette donne che dicevano il rosario, recitandolo come un mantra. Di solito restavo alle ultime panche, nascondendomi come faccio sempre, ma stavolta senza alcun motivo avanzai e mi avvicinai all’altare. Il suono di parole scandite echeggiava tra i profumi di legno ed incenso. Vidi la porta aperta della sacrestia. All’improvviso sterzai, nessuno mi vide ed entrai. C’era un grande mobile scuro, un altro sulla parete sinistra e un pesante crocifisso d’oro. Un abito era piegato con cura e poggiato sul ripiano. Entrai nella seconda stanza, era spoglia, bianca e fredda con una botola in fondo. La sollevai e vidi delle scale; i primi scalini erano in marmo liscio, poi sbreccati e sempre più consumati, fino a diventare, dopo una lunga discesa, di pietra nera e crivellata di buchi. L’aria fresca e umida dava piacere e invitava a proseguire. Negli anelli sulle pareti stavano torce accese che rischiaravano ma non riuscivi a indovinare la fine di quel corridoio. Sbucai in una grotta e fu lì che lo vidi: aveva il torso nudo e le mani forate e mi fissava con calma, con distacco e intensità. Semplice suggestione, mi dissi. Tutto intorno a lui andò fuori fuoco, mi sommerse con la pietà, un ardore sovrumano, e mi disse “Io ti perdono”, ed era come dirlo a me stesso perché in fondo non mi ero mai perdonato. Lo disse di nuovo, “Io ti perdono”, ed entrò per sempre in me

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