di Mauro Coni
Installarono un’enorme antenna, al centro della piazza principale. Alta più di sei metri, con la parabola d’oro massiccio, sembrava una scultura o un’installazione. Il comune la presentò come una nuova tecnologia e un vasto sistema di cavi, formicolanti come lombrichi, si allargava dalla base a mo’ di radici. In effetti Yomi non si definiva artista né scienziato; diceva di essere uno sciamano. Lo sciamano non è un dio, come il faraone, ma un umile tramite tra il divino e l’umano. Povero, martoriato, sballottato da queste forze vuole connetterci a un aldilà, qualunque forma esso abbia. L’antenna si chiamava G/E/B/A, come la regina amazzone, e secondo Yomi attirava il Sangue di Cristo, comunemente detto “luce”. Ci furono aspre polemiche e la cosa lo ferì moltissimo, e il suo problema con l’alcol non fece che peggiorare. Yomi era mezzo eschimese ma con antenati irlandesi e boliviani; da bambino aveva rischiato la morte per un misterioso male. In seguito, per liberarsi dal fuoco impellente, si era tuffato nell’esoterismo e negli studi più impervi. In quel periodo con Max e Francine bazzicavamo il Twin Pub e spesso ci trovavamo Yomi, solo e abbacchiato, davanti all’ennesima birra. Ci spiegò che neanche lui sapeva cos’era G/E/B/A, né come utilizzarla. L’aveva vista in sogno e un palazzinaro del posto, innamorato di cose bizzarre, ne aveva finanziato la costruzione. Quella notte, alla chiusura del Twin, una dozzina di barcollanti avventori, fumando sigarette e passandosi bottiglie, si diresse verso l’antenna. Volevo disperatamente far capire a Yomi che ero con lui, che la sua purezza era già un traguardo, anche se quella cosa era un inutile pezzo di acciaio. Senza alcun motivo ci prendemmo le mani, circondando G/E/B/A col nostro girotondo. La luce della luna raggiunse la parabola, la sovraccaricò e quel miracolo esplose sopra le nostre teste. Le cellule furono invase da un’ondata benefica e i nostri corpi, un tempo terrestri, vennero fusi in un enorme anello.
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