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Gigi Proietti, uno di famiglia

di Ugo Russo

Ha voluto festeggiare i suoi 80 anni volando in cielo, Gigi Proietti. Proprio nel giorno del suo compleanno è morto l’ultimo grande personaggio dell’intero spettacolo italiano, mattatore completo del teatro, del cinema e della televisione. Se n’è andato in silenzio (chi sapeva che stava male?), come si confà alle persone eccezionali, all’opposto del fragore al momento dell’entrata in scena, con la sua voce così stentorea, subito riconoscibile e che portava alla inevitabile risata. Aveva già avuto, dieci anni fa, problemi di cuore che sembrava aver superato; proprio il cuore, però, lo ha tradito: ricoverato da quindici giorni, ha subito un peggioramento nelle ultime 24 ore che lo ha portato alla morte.

Tanti film di enorme successo (come non ricordare i due di Febbre da cavallo, con il suo esilarante personaggio di Mandrake. Ed ora, a proposito, di grandissimi attori è rimasto solo Verdone); lavori teatrali di mirabile valore, lui, il re del palcoscenico (“ A me gli occhi, please” e i suoi “Cavalli di battaglia”, dove recitava una parodia di sicuro effetto la celeberrima telefonata); le apparizioni in  televisione, con le “ospitate” e le sempre riuscite fiction (ed ora fa accapponare la pelle ricordare il riuscitissimo “Una pallottola nel cuore”).

Mai volgare (i comici di oggi, per far ridere, fanno uso spesso di parolacce e frasi scurrili), ricorreva al suo personaggio di “Pietro ammicca” che arrivava magari a dire cose pesanti, fermandosi dove era lecito e suscitando l’ilarità generale. Divertentissimo il suo aver trasformato il successo canoro francese Ne me quitte pas in Tu m’hai rotto er  cà dove la parolaccia era solo sfiorata ma l’effetto era mille volte più comico. Perché il lavoro di Proietti era accompagnato da garbo, signorilità, eleganza unici.

Dal suo laboratorio teatrale sono usciti i personaggi “più gradevoli e spassosi” degli ultimi venti anni: Brignano, Insinna, Cirilli. Aveva calcato i più prestigiosi palcoscenici del nostro Paese; ed è proprio al teatro de L’Aquila che ebbi il piacere di conoscerlo ed intervistarlo più di 30 anni orsono, lui che era diventato il direttore artistico della struttura abruzzese. In quell’occasione mi colpirono, oltre alla innegabile statura del personaggio, il suo mettersi volentieri a disposizione, il suo rispetto verso gli altri. Capii di avere davanti un galantuomo.

Molto devoto a Roma dove era nato, allo stesso modo di Sordi era voluto bene, per la sua capacità di saper entrare in tutte le case nella maniera migliore possibile, in tutto il territorio nazionale. Ecco, dovendo coniare una definizione che può essere realmente esplicativa di questo grande uomo che non potremo vedere più di persona ma lascia un immenso patrimonio della sua opera, potremmo senz’altro affermare: Gigi, uno di famiglia, avendolo sentito tutti uno di casa, un secondo padre, uno zio, un nonno per i più piccoli.

E dal Paradiso, caro Gigi, magari in sogno, mandaci ogni tanto un segnale di allegria, di spensieratezza. Ne abbiamo proprio bisogno.

 

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