di Mauro Coni
A dodici anni pensi solo al calcio e ai videogiochi. Leggi fumetti e ascolti i primi dischi, che definiranno la tua personalità. I pomeriggi li passi con gli amici, è un’età ancora perfetta, prima dei travagli dell’adolescenza. La scuola è divertente, alzarsi presto scoccia ma in fondo quella routine ti piace. In ogni classe c’erano ragazze carine e altre meno carine, con cui non eravamo proprio gentili. E poi c’era Monia. Monia era un’altra cosa. Era già una piccola donna, fisicamente sbocciata. Tutti pensavamo la stessa cosa, che fosse la più bella in città. Lei non ci piaceva, ci turbava. Risvegliava cose a cui non eravamo pronti e che non capivamo. Girava persino voce di una certa foto, che pochi fortunati giuravano di aver visto ma probabilmente non esisteva. In quel periodo ero al banco con lei. Durò poco, un paio di settimane e non ricordo il perché, forse un professore ci aveva mischiati. Il giovedì leggevamo i “Promessi sposi”. Don Abbondio e soci sfinirebbero chiunque, figuriamoci un dodicenne. Quelle ore erano interminabili ma quella volta fu diversa. Monia indossava un vestitino a righe orizzontali, bianche e blu. La gonna era plissettata e i bottoncini sul petto aperti. Aveva scordato la sua copia a casa e per tenere il segno si era avvicinata a me. Ricordo la sua pelle abbronzata, la calma assoluta che diffondeva. Non era facile seguire i deliri del Manzoni. Qualunque libro, anche il migliore, non sarebbe esistito, sarebbe tornato nel nulla da cui proveniva. Il suo corpo era la cosa più vera del mondo. Venne il mio turno di leggere e me la cavai egregiamente. Leggere mi piaceva e mi piace ancora. Oggi Monia è una mamma e qualche decennio è trascorso. Si ricorda di quel periodo? Del potere che aveva su tutti, su noi che eravamo poco più che bambini? Forse alcune persone hanno un’energia diversa, sono come dei piccoli soli. Create diverse, lasciano un solco su chi le incontra. Quella mattina, per qualche motivo, è ancora con me
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