Il Caravaggio rubato a Palermo, dopo mezzo secolo la verità nel libro di Michele Cuppone
Michelangelo Merisi non avrebbe mai messo piede a Palermo: fuggitivo da Malta, si ferma a Siracusa e a Messina, e vi lascia almeno tre capolavori; dopo il 10 giugno 1609, se ne va direttamente a Napoli, dove, il 7 novembre, si sa che è stato aggredito e sfregiato, all’uscita da un’osteria. Ma nel capoluogo siciliano c’era la sua Natività con i santi Lorenzo e Francesco, sottratta dall’omonimo oratorio a ottobre 1969 ad opera della mafia, come si è sempre detto. Un capolavoro, e il quadro più ricercato al mondo. Il quale però, è stato eseguito, si scopre, nel 1600 a Roma: quando Caravaggio stava terminando i due San Matteo di San Luigi dei Francesi. Esisterebbero assai più che semplici indizi: anzi, perfino il contratto originale di commissione.
L’INDAGINE
Questi, essenzialmente, i contenuti di una ricerca che ha compiuto Michele Cuppone, un giovane studioso già impegnato sul medesimo artista, in un libro (Caravaggio. La Natività di Palermo, Campisano, 112 pag., 30 euro) che dell’opera indaga la realizzazione, ma anche la fama, il furto, alcune curiosità. Che sia del 1600, deriva dal contratto, a lungo misterioso; dalla tela, che è «romana» per le qualità, e diversa dalle altre opere siciliane: i quadri dell’isola sono realizzati su supporti più piccoli cuciti tra loro (al contrario di quelli di Roma), e questo è su una tela unica; lo stesso stile è assai più di allora, che di 10 anni dopo; perfino la modella per la Madonna nel capolavoro di Palermo appare la medesima della Giuditta nella Decapitazione di Oloferne (Palazzo Barberini, Roma), e forse anche della Santa Caterina di Madrid, e di Marta e Maddalena di Detroit: tutte creazioni degli ultimi anni del Cinquecento.
Michele Cuppone
aprile 1600, e stipulato nella casa del mercante Alessandro Albani: con una caparra di 60 scudi, doveva realizzare per un altro mercante, Fabio Nuti, un dipinto «con delle figure», la cui altezza è esattamente quella di Palermo, e la larghezza si discosta di pochi centimetri. A novembre, Caravaggio è pagato. E a Palazzo Madama, dove il cardinal del Monte viveva e il pittore aveva lo studio, ritira il quadro proprio Albani. Del quale, come di Nuti, sono stati scoperti i rapporti con Palermo. Non solo; ma dal 28 luglio al 9 agosto 1600, nell’oratorio palermitano si compiono dei lavori sulla cornice dell’altar maggiore. E del dipinto di cui al contratto, nessun’altra traccia, se non queste, è mai stata ritrovata. Un saio francescano con due ali, che, proprio in quegli anni, Orazio Gentileschi aveva prestato al Merisi, compaiono, guarda caso, in questa Natività.
LE REPLICHE
Poco dopo che era giunta a Palermo, nel 1627, al siciliano Paolo Geraci se ne ordina una copia: ritrovata a Catania, di recente, nell’ufficio del prefetto; oggi, è a Castel Ursino. Relativamente poche sono le repliche del dipinto palermitano. Una, l’aveva Luigi Federzoni, celebre gerarca fascista, ed è sparita durante la guerra; forse, dalla sua casa a via Ferdinando di Savoia («requisita», come scrive Cuppone, «e passata a Palmiro Togliatti»). Nella famiglia Federzoni, la si riteneva di Bernardo Cavallino. E poi, dell’originale si racconta anche come è stato salvato dalla guerra, e le due volte in cui è stato esposto, lasciando la sua città.
IL GIALLO
E veniamo al furto, descritto nei minimi particolari. Un mistero ancora irrisolto: tra i maggiori “gialli” dell’arte che, in modo diverso tra loro, hanno raccontato anche i più importanti mafiosi pentiti. Si fa giustizia di molte false piste ed ipotesi azzardate: che Giovanni Brusca tentasse di permutarlo con lo Stato in cambio di carcerazioni più morbide; che il critico Maurizio Marini abbia visto l’opera in Sicilia, dopo il furto; che la Natività fosse finita in una porcilaia: lo dicono notizie di terza mano (o bocca), e riferite da un capomafia, allora, però, di appena 13 anni; che la tela venisse esposta come trofeo nei “summit” della “onorata società”, ma questo l’hanno smentito i mafiosi stessi; che Totò Riina lo usasse come uno scendiletto.
LA DATA
Intanto, il furto è forse avvenuto il 15 ottobre 1969: due giorni prima di quanto si dica. Tela portata via da sette ladri, probabilmente inconsapevoli. Avvolta in un tappeto che era nell’Oratorio. Quando i giornali la valutano un miliardo di lire (cifra, peraltro, ben inferiore al reale), attira l’attenzione del “boss” Gaetano Badalamenti. C’è chi racconta come gli sia arrivata, a Cinisi. Ci sono anche le telefonate con un prete, per ottenerne un riscatto. E, alla fine, la consegna, chissà per quanti milioni di franchi svizzeri nel 1970, a un mercante di Lugano, ormai morto. Smembrare la Natività, per poterla smerciare, era solo un’ipotesi. Il furto è ormai prescritto. E chissà che fine ha fatto la tela, come scriveva Roberto Longhi, dal «bambino miserando, abbandonato a terra come un guscio di tellina buttata».
(Articolo di Fabio Isman pubblicato sul Messaggero il 16/04/20)
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