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Il Leonardo enogastronomo: alcuni suoi piatti, le amate vigne, la vinificazione ed il suo come stare a tavola

di Arnaldo Gioacchini *

C’è fra l’altro nel “discusso” Codex Romanoff, e qui per quanto concerne questo “misterioso” Codice va riportato quanto è scritto prima del suo inizio dal suo trascrittore che si assunse in tal modo tutte le “responsabilità” del caso (non da poco trattandosi di quell’Immenso Personaggio di cui si parla): “Questa è l’opera che io, Pasquale Pisapia, ho copiato a mano dal manoscritto originale di Leonardo da Vinci, custodito all’Hermitage di Leningrado”.

La vigna di Leonardo a Milano

Dove è scritto, fra l’altro, quanto segue: “Alle ricette di pietanze pesantissime amate da Ludovico che Leonardo definisce “quell’orrendo intruglio di carne e ossa” si alternano quelle dei “miei piatti semplici”, che Leonardo avrebbe “preparato se il mio Sire Ludovico non li avesse rifiutati con tutta la loro delicatezza e purezza” e quelle di piatti insoliti come le “pastiglie di mucca”, il ghiro farcito e la spalla di serpente. In un’occasione di un pranzo, per una festa molto importante, Leonardo seguendo la sua linea, ormai acquisita, di “nouvelle cuisine” pensando di fare cosa molto gradita allo Sforza presentò a lui un menù, per l’epoca, assolutamente rivoluzionario: Un involtino d’acciuga sopra una rondella di rapa scolpita a forma di rana; una carota intagliata artisticamente; un cuore di carciofo; due mezzi cetrioli su di una foglia di lattuga; un petto d’uccello; un uovo di pavoncella; un testicolo di pecora con panna; una zampa di rana su foglia di tarassaco; uno stinco di pecora con l’osso.

Il menu di Leonardo

Una lista di cibi che il Moro rifiutò in toto aggiungendo che nessuno dei suoi ospiti avrebbe fatto anche centinaia di chilometri per morir di fame! Al che si misero all’opera le varie decine di cuochi ed aiuti per realizzare questo popò di menù: 600 salcicce di cervello di maiale provenienti da Bologna; 300 zamponi che venivano da Modena; 1.200 tortini di Ferrara; 200 fra vitelli, polli ed anatre; 2.000 ostriche di Venezia; pasta che arrivava da Genova; storione con le proprie uova (il caviale); tartufi bianchi e neri; purè di rape e, per  finire, marzapane da Siena; l’unica cosa di suo che Leonardo fu autorizzato a far portare in tavola furono delle splendide sculture di bellissime cattedrali fatte di  marzapane e gelatina. L’Uomo comunque espresse a pieno la sua enorme genialità anche in questo settore andando a creare  delle speciali cappe finalizzate ad estrarre dalla cucina i grandi fumi che ivi si creavano anche in conseguenza di tutto quel continuo enorme cuocere di carni varie.

Una ricetta di Leonardo

Ma il Codex Romanoff contiene anche precetti, testimonianze di abitudini di corte, rapidi ritratti di commensali di Ludovico, indicazioni di carattere dietetico e norme di galateo come l’elenco intitolato “comportamento sconveniente alla tavola del mio Signore” (“nessun ospite dovrebbe pizzicare o leccare il vicino”, “nessun ospite dovrebbe pulirsi l’armatura a tavola”) o quello intitolato “come deve sedersi a tavolo un assassino”. E poi ci sono le altre invenzioni di Leonardo legate alla culinaria e dintorni come ad es. il sandwich ed i tovaglioli (prima era usanza asciugarsi le dita nella tovaglia, ma l’imperdonabile Sire Ludovico se le puliva sulla “gonna” dei vicini o nel pelo dei propri cani). In proposito c’era ancora un di più che faceva inorridire il buon Leonardo, il fatto che, sempre per asciugarsi le mani durante il pasto, venivano  legati, alle zampe, delle medioevali tavolate, dei conigli vivi. Una cosa questa che per Leonardo, “animalista” convinto, era assolutamente inaccettabile ed infatti si inventò,  ipso fatto, i “tovaglioli” andando a tagliare in varie pezze alcune tovaglie. All’inizio questi suoi tovaglioli non incontrarono molto visto che le dame li mettevano sotto le terga per non sporcarsi il vestito e gli uomini li usavano per soffiarsi il naso. A Leonardo viene anche ascritta l’invenzione della forchetta da tavola a tre rebbi considerato che, all’epoca, oltre alle mani si usava solo il coltello e molte persone si ferivano spesso andando ad imbrattare con il proprio sangue cibi e tovaglie; datosi che l’unica “forchetta” esistente era il forchettone da cucina. Lo Sforza, che non lesinava doni al suo immenso Artista di Corte, un giorno gliene fece uno che il Sommo Maestro gradì moltissimo. Nello specifico si trattò di una vigna che Leonardo prese a curare direttamente. Una vigna i cui vitigni sono stati ritrovati con certezza nel parco della splendida Casa degli Atellani. Leonardo anticipò di cinquecento anni le tecniche migliori per la vinificazione studiandone, da par suo, tutti i vari passaggi al fine di arrivare ad avere un ottimo prodotto. Così il Genio definiva la cosa: “Il vino, il divino licore dell’uva”. Oppure un “vino excellente, che innalza lo spirito dell’uomo al celabro” ma aggiungeva anche: “Il vin sia temperato, poco e spesso, no fuor di pasto, né a stomaco vuoto”.  Fare il vino,  possibilmente nella maniera migliore, fu sempre nei pensieri di Leonardo come evidenziato, ad esempio, in una lettera del 1515 che scrisse al fattore del suo Podere di Fiesole, andando a precisare come si doveva ottimizzare la qualità dell’uva,la concimazione della vite con sostanze basiche e la vinificazione in botti chiuse: “Conciosiacosache si voi et altri faciesti senno di tali ragioni, berremmo vino excellente”. Leonardo si lamenta pure del fatto che durante il “ bullimento, per aver condotta questa fermentazione a vasi discuoperti, tutto l’aroma se ne è fuggito con l’essenza”. Non è quindi casuale che Leonardo, mentre era al “servizio” dei Borgia,  fra i suoi  disegni mise anche quello di una barrique. Tornando all’Uomo ed alle sue invenzioni gastronomiche vi è da dire che, durante le sue  peregrinazioni, Leonardo portava sempre con se una cassetta di colore scuro dal contenuto  mai mostrato a nessuno salvo che a Francesco I re di Francia (appassionato di enogastronomia), sorpresa: all’interno c’era un prototipo di una macchinetta per fare gli spaghetti! Guarda caso, Leonardo, nel suo testamento, lasciò una parte dei suoi averi (e neppure la più trascurabile) a Battista de Villanis il suo “storico” cuoco.

*Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Beni Italiani  Patrimonio Mondiale UNESCO – Autore del libro “Il Leonardo meno noto”.

 

 

 

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