di Arnaldo Gioacchini *
Leonardo è stato fino ad oggi (incontrovertibilmente) il più grande Genio Universale mai espresso in tutta la storia dell’Umanità. Genio Universale in quanto non c’è materia umana in più che alto ambito culturale e scientifico nella quale Lui non si sia applicato, non abbia sperimentato, non abbia creato ex novo.
C’è però in ambito artistico il “Leonardo scultore” di cui si è sempre parlato pochissimo, sicuramente facendo riferimento al fatto che in materia l’Illustrissimo Uomo poco vi si dedicò, anche se poi va detto che, sebbene con numeri decisamente maggiori, pure nel suo splendido ambito pittorico, cosa per la quale ha acquisito fama universalissima, in tutte le epoche da parte di tutti i popoli del pianeta, il numero delle Opere certissimamente a Lui totalmente e completamente attribuibili sono solo diciotto; anche questo un numero non certo totalizzante pur essendo, come è noto, in presenza di Capolavori assoluti e per molti versi artisticamente “rivoluzionari”. E qui corre l’obbligo di precisare (magari per quei pochissimi che non ne hanno coscienza e conoscenza) che qualsivoglia disegno seppure bellissimo vuoi per la tecnica, che per la base pittorica (fogli, cartoni od altro) che per i colori o non in uso, non è, e non è mai stato considerato un dipinto; questo perché Leonardo ha, nella sua gigantesca “frenesia creativa” del prendere e del lasciare, fatto un notevolissimo numero di, assolutamente splendidi, Disegni (e non solo in ambito illustrativo nei suoi Formidabili Codici) alcuni dei quali presi, come più che ottimo riferimento, da altri non solo alla sua epoca.
Andando al Leonardo scultore è il caso di citare, per correttezza d’informazione ciò che scrisse in proposito Giorgio Vasari ricordando come il Genio operò anche in questo ambito: “facendo, nella sua giovanezza, di terra alcune teste di femine che ridono, che vanno, formate per l’arte di gesso, e parimente teste di putti, che parevano usciti di mano d’un maestro”. Ad esempio Alessando Parronchi notevolissimo storico dell’arte (oltre ad essere stato un importante poeta e traduttore purtroppo deceduto nel 2007) gli ha attribuito uno splendido busto di putto facente parte di una collezione privata fiorentina. Nel fil rouge molto leonardesco che unisce i suoi splendidi schizzi e disegni è stato autorevolmente sottolineato come alcune opere scultoree del Verrocchio (del quale, come è noto, Leonardo, frequentò la “bottega”) coincidono, in maniera molto cogente, con alcuni dei suddetti schizzi e disegni creati dal Genio Universale come ad esempio il profilo di capitano antico (del 1475 ora esposto al British Museum di Londra molto simile ai bassorilievi di capitani antichi scolpiti per Mattia Corvino, o lo studio di mani (sempre del 1475 ora presente alla Windsor Royal Library), ritenuto uno studio per il ritratto di Ginevra de’ Benci che è estremamente somigliante alla posizione delle mani del busto della Dama con il Mazzolino. Ma come in tutta la sua Vita Artistica (una delle molteplici “Vite” di Leonardo) anche in ambito scultoreo, il Genio esprimeva molti progetti piuttosto ambiziosi, che magari come era nella sua straordinaria Natura, venivano lasciati per dedicarsi ad altro di altra ben differente tipologia che la sua genialissima Mente partoriva dall’oggi al domani. Quindi non c’è assolutamente da meravigliarsi se l’unico esperimento sicuro effettuato con la scultura (e che scultura!) sicuramente attribuibile a Leonardo fu lo splendido monumento (mai completato) a Francesco Sforza. Si trattò in questo caso di un progetto assolutamente grandioso, iniziato nel 1488, che prevedeva un grande monumento equestre dedicato al padre di Ludovico il Moro. L’opera era veramente grandiosa trattandosi di realizzare un enorme cavallo in bronzo, che si alza sulle zampe posteriori pronto a scagliarsi sul nemico. Di questo cavallo Leonardo riuscì a portare a termine solo un modello in creta. Nel 1482 Ludovico il Moro Duca di Milano, propose a Leonardo di costruire la più grande statua equestre del mondo: Un monumento dedicato a suo padre Francesco che era stato il fondatore della casata degli Sforza. Dell’incipit che anticipò l’inizio del lavoro leonardesco vi è la testimonianza di un pagamento erogato, per conto del Duca, dal soprintendente dell’erario di Corte Marchesino Stanga, ciò per le spese che Leonardo avrebbe sostenuto per fare un modello d’opera. È anche noto che quella che era la “bottega” di Leonardo sita in Corte Vecchia (ove c’è l’attuale Palazzo Reale), era stata riempita degli strumenti e dei materiali necessari per la fusione di bozzetti. Leonardo sapeva molto bene quanto era importante anche la qualità del cavallo che andava a fondere per cui realizzò molti disegni preparatori prendendo a riferimento alcuni cavalli che all’epoca erano molti famosi per la loro bellezza al fine di mettere insieme il cavallo ideale che a Lui serviva; tanto è vero che fra i suoi appunti in proposito si legge: “Morel Fiorentino è grosso e ha un bel collo e assai bella testa” ed ancora “Ronzone, bianco, ha belle cosce, e si trova a Porta Comasina”. Ma nonostante tutto i lavori andarono molto a rilento vuoi per la “pignoleria” del Maestro vuoi per altri fattori non dipendenti dalla sua volontà (che non lo riguardarono nello specifico ma lo coinvolsero in toto in quanto alla Corte dello Sforza era anche il Maestro di Cerimonie), nello specifico la preparazione delle nozze di Anna Maria Sforza e Alfonso I d’Este (programmate nel 1490 e rimandate al 1491) e per quelle di Ludovico il Moro e Beatrice d’Este (1494). Ritardi ed ancora ritardi già di oltre un decennio; ritardi comunque che già nel 1489 “agitavano” il Moro tanto è vero che fece pervenire a Lorenzo il Magnifico, tramite Pietro Alamanni, una lettera datata 22 luglio che diceva fra l’altro (chiedendo la collaborazione di fonditori in bronzo fiorentini): “un maestro o due apti a tale opera et benché gli abbi commesso questa cosa in Leonardo da Vinci, non mi pare molto la sappia condurre”. Ma da Firenze non arrivò nessun aiuto in quanto in quel periodo lo stesso Magnifico era carente di validi scultori tanto è vero, in proposito, decise di aprire all’uopo quella che poi diverrà la famosa scuola dei giardini di San Marco. Ma il progetto di Leonardo era destinato, per vari motivi, a non avere una grande fortuna: L’ipotesi del cavallo rampante mostrò di creare, già in fase di bozzetto importanti problemi di equilibratura per cui fu accantonato, anche se però nel contempo il monumento venne ripensato in forme colossali, fino a quattro volte più grande del naturale. Un simile progetto, quindi, rese necessario ridisegnare il cavallo al passo, e già a maggio del 1491 Leonardo aveva approntato un nuovo modello in creta mostrato in occasione del matrimonio della nipote del duca con l’imperatore d’Austria; modello che destò grande ammirazione nei suoi ben oltre sette metri d’altezza, un’opera gigantesca che nell’intenzione del Genio doveva superare anche quelle statue equestri dedicate al Colleoni ed al Gattamelata realizzate rispettivamente dal Verrocchio e da Donatello. Leonardo dedicò molto tempo a calcoli, schizzi e studi di anatomia equina. Ma già allora emerse il fatto che la fusione in bronzo avrebbe impegnato ben 100 tonnellate dell’importante metallo. Dopo il modello in creta (che, per la sua grandiosità e bellezza, tanta ammirazione aveva destato) lo stesso doveva essere ricoperto di uno spesso strato di cera e quindi della cosiddetta “tonaca” in terracotta dentro la quale si doveva versare il bronzo fuso. Tutto era pronto quando però accadde l’imprevedibile: le 100 tonnellate del metallo non c’erano più in quanto erano state utilizzate per realizzare un congruo numero di cannoni necessari a difendere il ducato d’Este dall’invasione delle truppe francesi del re Luigi XII. A quel punto Leonardo lasciò Milano e riparò a Mantova, mentre il modello che era rimasto nella città meneghina fu distrutto dai soldati che lo usarono come bersaglio per i loro tiri di balestre. Ma la storia del cavallo di Leonardo non terminò così ingloriosamente in quanto l’idea di realizzarlo “solleticò” alla nostra epoca (1977) un certo Charles Dent, un politico statunitense collezionista d’arte e amante della scultura, che ci mise quindici anni per trovare i soldi necessari (quasi 2,5 milioni di dollari) per realizzare l’opera ideata originariamente da Leonardo (ma in questo caso solo il cavallo); ma Dent non fece in tempo a vederla materializzata in quanto venne a mancare nel 1994. Morto lui sembrò proprio che per il cavallo leonardesco fosse giunto il de profundis quando invece si “innamorò” dell’idea il proprietario di una catena di supermercati nel Michigan di nome Frederik Meijer che fece realizzare il tutto (a patto che di cavalli ne fossero fusi due, uno per lui ed uno da mandare a Milano) dalla scultrice Nina Akamu. Quello di Meijer fu posto nel parco artistico naturale di Grand Rapids nel Michigan, ove all’aperto sono conservate molte copie delle statue moderne più celebri (e dove il cavallo risulta essere l’opera più importante), mentre la copia data a Milano (inviata in sette parti che dovettero essere ricongiunte) fu deciso di porla (correva il settembre del 1999) all’ingresso dell’ippodromo di San Siro.
*Membro del Comitato Tecnico Scientifico dell’Associazione Italiana Patrimoni Mondiali UNESCO
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