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Il Re della canzone popolare

Di Ugo Russo

Stavolta non se lo aspettava proprio nessuno. Si sapeva che era ricoverato da giorni in ospedale ma non che corresse pericolo di vita. Ci sono spesso delle avvisaglie, sai direttamente o da amici comuni che una persona a te cara sta male in modo grave, ma questa atroce notizia è arrivata del tutto inaspettata. Tony Santagata, nome d’arte di Antonio Morese (e lui, religiosissimo, trasformò il cognome per ricordare il paese dove era nato, Sant’Agata di Puglia) se ne è andato improvvisamente. Aveva 85 anni portati benissimo, a parte i capelli ormai completamente imbiancati, se è vero che poco più di un mese fa era stato ospite di una trasmissione Rai, cantando con voce ancora stentorea le sue canzoni più famose, accompagnandosi in maniera fantastica con quella chitarra che ogni volta aveva portato nelle sue esibizioni in palcoscenico. Buono e spontaneo, sempre coerente nelle sue cose, sia nella professione di artista che nella vita. Questo era Tony Santagata, capace di portare il folklore pugliese in tutto il mondo. Tanti i suoi successi, tra i quali ci piace ricordare Quant’è bellu lu primm’ammore, Lu maritiello, Squadra grande. Nel corso della sua carriera ha scritto sei opere musicali moderne. La più nota è Padre Pio Santo della speranza, eseguita in Vaticano presso l’Aula Paolo VI la sera della canonizzazione del Beato. La canzone finale, Padre Pio ho bisogno di te, è diventata la preghiera ufficiale dei fedeli del Santo.

Quanti ricordi mi legano a lui! Dopo qualche spettacolo insieme, una vera e propria grande conoscenza ed amicizia si era materializzata ed era sbocciata più di quaranta anni fa quando invitandolo ad una mia trasmissione televisiva mi ricordo che cantò “Il dirigibile”, sigla di un programma che conduceva nella tv di stato. Un altro ricordo vivo ce l’ho quando una quindicina di anni addietro lo incontrai (ero inviato di “Tutto il calcio minuto per minuto”) all’entrata del Tardini di Parma. Era venuto a vedere la sua Roma (che grande dolore deve avergli dato la sconfitta di ieri contro l’Inter…) perché, quando poteva, amava seguirla anche in trasferta e, portandomi su un palmo di mano, come poteva magnificava la mia carriera pure come giornalista. Quel giorno, a coloro che lo avevano avvicinato per chiedergli l’autografo non mancò di dire: “Ugo è un amico ed è un grande giornalista”: La risposta: “Lo sappiamo” mi riempì di gioia. La Roma, certo, ma era affezionato al calcio in generale, lui che ha giocato per anni nella nazionale cantanti di cui è stato a lungo il capocannoniere. Lo avevo sentito per l’ultima volta, dopo tantissimo tempo, questa estate perché incontrando in uno di questi eventi sul Caravaggio ad Anguillara un amico di entrambi, quest’ultimo mi aveva detto: “facciamo una sorpresa a Tony, lo chiamo io e gli dico che gli passo una persona che lo conosce bene”. E’ bastato che io dicessi: “Ciao, grande, come stai?”. E lui subito: “Ugo Russo, che piacere!”. Proseguendo il discorso, Tony mi aveva detto: “Senti, non facciamo passare ancora  tanti anni. Vediamoci presto e andiamo a cena insieme”. L’incedere del tempo, così furtivo, cosi irrazionale, la maledetta pandemia che sta condizionando tutti non avevano permesso finora di incontrarci di nuovo ma mi ero ripromesso a gennaio di organizzare una bella cena con questo fantastico amico. Il destino atroce, beffardo non lo ha voluto. Ciao, fedele maritiello che con la tua Giovanna (a cui va ora un grande abbraccio) avevi festeggiato non da molto i 50 anni di matrimonio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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