di Silvio Vitone
Il lungomare di Marina di Palo, a Ladispoli, offre al visitatore una delle passeggiata a dir poco gradevole, soprattutto in primavera. Questo deriva principalmente da un’intelligente scelta urbanistica dovuta al fatto di non aver costruito manufatti ed anche infrastrutture turistico/ balneari tra la strada e la spiaggia. Ed allora, durante la passeggiata, l’occhio può spaziare sull’ampio orizzonte marino. Inoltre le comode panchine, il percorso pedonale del tutto agevole ed alcuni ben attrezzati punti di ristoro attirano una gran bella folla. Si poteva fare di meglio però : dotare il percorso di una confortevole alberatura, rispettare le formazioni dunali e soprattutto dare maggior risalto agli aspetti archeologici dell’area. Ed a proposito di archeologia, se non rimarrete distratti dai colori cangianti del mare e dalle fioriture, che sbocciano sulla sabbia ferrosa, potrete notare i resti di una villa di epoca romana, degli inizi dell’ impero, diciamo, costruita tra il I – II secolo d.C. Più che resti si potrebbero definire lacerti, ovvero frammenti , brani, spezzoni, affioranti tra strada, spiaggia e in mezzo al mare, ed anche tra i diversi caseggiati di Marina di Palo; altri resti si rinvengono più all’interno, alcune centinaia di metri lontano dalla costa; appartengono ad un solo organismo – la villa – ormai completamente disarticolato a causa di un dissennato sviluppo urbanistico. Più precisamente oggi gli ambienti superstiti di questa grande villa marittima si snodano lungo tutta la zona litoranea che va dal bosco di Palo al fosso Sanguinara. Oltre alle strutture relative ad una zona termale e residenziale, presenti in Piazza della Rugiada, e alla vasca ovale sul lungo mare, si possono ancora distinguere una grande cisterna a due navate ,in via Albatros, alcune vasche ed altre strutture in muratura oggi sommerse dal mare. Sono “resti”, purtroppo, che l’abbandono, la scarsa tutela, il vandalismo tendono a far scomparire se non si interviene subito ed in maniera efficace. Nell’antichità tutta l’area, dove ore sorge l’abitato di Marina di Palo e che si estende verso sud, fino al castello Odescalchi ed alla frazione di San Nicola, era occupata dalla città romana di Alsium. Qui i clarissimi, gli esponenti del ceto senatorio, costruirono le bellissime “villae maritimae”, vere e proprie cittadelle sul mare,paragonabili ( o forse superiori ) alle residenze degli attuali nababbi della Costa Azzurra e della Costa del Sol. Di una di queste ville ( ma il termine italiano non rende l’idea dello splendore antico ), parla Plinio il Giovane, ( il giovane per distinguerlo dallo zio materno ) in una delle sue Epistulae. A Plinio questa villa pervenne in eredità attraverso la suocera. In precedenza apparteneva, sempre secondo il racconto pliniano,a Marco Virginio Rufo, che fu tre volte console e rinunziò alla porpora imperiale. Lucio Verginio Rufo in latino: Lucius Verginius Rufus, Como, 14 – Roma, 97 è stato un senatore e militare romano, famoso per aver rifiutato la porpora dopo la caduta di Nerone. Nei testi moderni, a causa di un’italianizzazione ottocentesca del nome, lo si trova sotto la voce “Lucio Virginio Rufo”. Il primo, fra gli studiosi “moderni” a parlare della villa alsiensis fu Antonio Nibby (Roma, 14 aprile 1792 – Roma, 29 dicembre 1839) che è stato uno storico, archeologo e topografo italiano, in una sua nota del 1849. Si deve precisare che il Nibby nelle suddette discipline pose rigorosi fondamenti scientifici basandosi sull’analisi delle fonti classiche e medievali, lo studio dei monumenti e l’indagine diretta sul terreno. Purtroppo Il Nibby credette erroneamente che questa villa fosse quella attribuita a Pompeo, che invece si trova alcuni chilometri più a sud a Marina di San Nicola. Molto più dovizioso di particolari è l’archeologo Luigi Tocco nel Bollettino di corrispondenza archeologica del 1867, il quale ritenne che questa villa fosse appartenuta a Plinio. Fin qui le teorie e le congetture di due illustri studiosi. Se noi,peripatetici dell’ oggi, procediamo verso sud, sempre sul lungomare,all’angolo con via dei Delfini, non possiamo non rimanere colpiti dalla rovinosa mole di un monumento funerario. Molto probabilmente tale monumento funerario è la struttura che Luigi Tocco così descrive :“Siccome Plinio parla del sepolcro ivi di Virgilio e vedendosi questo mediante un gran fabbricato quadrato, che non lascia supporre altra destinazione, situato in riva al mare , ed all’angolo orientale dei suddetti ruderi, perciò ho fissato qui la villa di Virginio Rufonominata da Plinio “ Più di recente ,secondo il dr. Glauco Stracci, del movimento Archeoetruria si tratta di “ Un sepolcro a torre, tipico dell’ ultima età repubblicana, dove fino al 1959 erano presenti delle epigrafi attinenti alla gens Herennia, probabili padroni della villa, ma in base al racconto di Plinio il Giovane (Epistole, lett.X ) potrebbe, invece, essere il sepolcro del console e senatore Lucio Virginio Rufo, ricordato per aver rinunciato nel 68 d.C. al trono di Roma, che proprio ad Alsium aveva una villa marittima in cui, lo stesso Plinio ce lo racconta, fu eretto il suo sepolcro nel 97 d.C. Quindi gens Herennia o Lucio Virginio Rufo? L’epigrafe, sopra richiamata, in verità, non era posta sul monumento funerario, ma secondo quanto riportato dal libro delle sorelle Bruna e Marina Panunzi, autrici di “Storia di Palo e del suo territorio” – 1995 – a pag.133: “questa iscrizione la si può leggere sull’architrave del portale interno delle mura di recinzione del castello Odescalchi “ ( castello presumibilmente di Palo, n.d.r. ). Nell’aureo libretto del G.A.R. – Gruppo Archeologico Romano – ( in cui manca la data di pubblicazione ) a pag. 24 è rintracciabile la traduzione dal latino, di quanto riportato nell’epigrafe “ A Marco Erennio Rufo, figlio di Manio della tribù Mecia, prefetto di Capua e Cuma”. Come si vede per quanto riguarda l’attribuzione della villa e dello stesso monumento funerario siamo ancora nel campo delle ipotesi e delle illazioni. Dai miseri resti si può congetturare che si tratta di un sepolcro a torre , secondo altri ad “ara” su un podio tipico quest’ultimo di età imperiale Attualmente quel che resta del sepolcro romano si presenta come una struttura muraria in opera laterizia a pianta quadrata di quattro metri di lato con scala elicoidale intorno ad un tamburo centrale. Sono ancora riconoscibili le poche tracce di un rivestimento in opus reticulatum solo in un lato del manufatto e per il resto opus in cementitium. Secondo quanto riportato nell’agile volumetto del G A R, gruppo archeologico romano, che nel periodo della sua esistenza aveva avuto la capacità e la perseveranza di ripulire degnamente e descrivere i manufatti di età classica, il sepolcro “… è presumibile che sorgesse ai margini di una strada litoranea , che esisteva già nel periodo etrusco e collegava probabilmente le infrastrutture portuali di cui disponeva l’antica Caere “ . Di questa strada “litoranea costiera” parla, genericamente, anche l’archeologo Flavio Enei a pag.51 del suo testo “ Cerveteri, ricognizioni archeologiche nel territorio di una città etrusca.” 1993 Ed anche qui è rilevabile una discordanza con l’interpretazione del Tocco secondo cui il monumento era vicino alla villa del defunto.
Sull’ipotetico tracciato di tale strada, ormai non più riconoscibile, è stato proposto, di recente, un percorso dedicato a al grande pittore Caravaggio. Peraltro ad aprile, per rinsaldare il rapporto tra Caravaggio ed il territorio di Ladispoli, sarà posizionata una statua dedicata al grande pittore, realizzata dall’artista Sergio Bonafaccia.
Tornando al sepolcro, la tesi del Tocco mi convince maggiormente , perché coloro che possedevano una villa fuori Roma spesso realizzavano tombe per i familiari nelle vicinanze della villa (per esempio la villa di Massenzio con il Mausoleo di Romolo, la villa di Erode Attico con il tempietto di Annia Regilla); in generale non si trovava spiacevole vivere accanto ad un monumento funebre, ma anzi lo splendore del monumento accresceva anche il valore della casa. I romani usavano fare frequenti visite alle tombe dei loro familiari, e vi erano due ricorrenze particolari, la Parentalia e la Lemuria, che si svolgevano nei mesi di Febbraio e di Maggio; venivano realizzate delle cerimonie, apposte decorazioni floreali sulle urne e offerte libagioni (inferiae). Le cerimonie funebri potevano consistere in allegri banchetti; si pensava che il congiunto potesse provare piacere dalla compagnia dei familiari piacevolmente riuniti; potevano esistere delle cannule che mettevano in comunicazione la stanza sovrastante con la camera funeraria attraverso cui far passare dei profumi. Non è la prima volta, che scrivo in merito a questo angolo di Ladispoli, bello per contemplare albe e tramonti sul mare. E mi sono lamentato a voce e per iscritto della situazione deplorevole in cui versano i relitti archeologici. Oggi il mio obbiettivo è puntato sul monumento funerario che chiude la passeggiata di Marina di Palo verso sud. Il monumento in questione dovrebbe ricevere maggior attenzione, per lo meno con un cartello esplicativo che risolva l’amletico dubbio di ogni sprovveduto visitatore . Pulizia e manutenzione più attenta andrebbero riservati anche agli altri “lacerti” . Si potrebbero organizzare visite guidate in tutta l’area, come ai bei tempi tempi del G A R . Ed a questo punto mi permetto due osservazioni. La prima è relativa alla ( straordinaria ) ricchezza di reperti e manufatti di epoca romana presenti nel territorio di Ladispoli. Penso solo a quello che scrive il Tocco nel citato Bollettino “ Oltre alla villa descritta nel territorio di Palo si vedono gli avanzi di altre ville , che benchè cedano all’anzidetta in grandezza , appare non fossero minori in sontuosità.” La seconda osservazione riguarda proprio il monumento funebre. Non mi azzardo a definirlo un mausoleo per i pochossimi dati a mia disposizione che lo riguardano; certo è che la sepoltura è degna di un personaggio di alto rango. E’ l’unico monumento sepolcrale di rilievo nel raggio di molte miglia. Un motivo in più per una migliore tutela.
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