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La scuola non è un campo di battaglia. Ma genitori e studenti lo hanno capito?

di Pietro Zocconali, presidente Assoc. Naz.le Sociologi, giornalista
Quello che sta accadendo in questi ultimi giorni, con protagonisti i bambini e, nella parte dei cattivi, i loro genitori, sta destando scalpore.
Un giovane allenatore di calcio, studente di ingegneria, che segue i bambini alle prime armi (ho usato apposta questo termine), i “pulcini”, che hanno da 8 a 10 anni, è finito in ospedale romano perché è stato picchiato da un genitore che, convinto di avere come figlio un erede di Pelè, non ha gradito la sostituzione del figlio nel corso di una partitella di pallone.
Numerosi i casi di professori, maestri e dirigenti scolastici, presi a botte da genitori che non gradiscono che i loro figli riportino dei brutti voti o sospensioni a scuola.
Sono diversi anni che scrivo articoli o partecipo a convegni e trasmissioni sui media proprio su questi argomenti. Nel dicembre 2005 in RAI sono intervenuto riguardo all’episodio di una bambina picchiata a scuola dai compagni; successivamente, in un convegno a Lamezia Terme, in Calabria, ho parlato del “valore dello sport nella società dei disvalori”. Trattando di sicurezza nelle scuole, ho pubblicato un articolo, dal titolo (che ho ripreso oggi): “La scuola non è un campo di battaglia”; era scaturito da brutti episodi accaduti in alcune scuole siciliane, e raccontava di genitori e studenti che avevano picchiato docenti e maestri elementari. Nel maggio del 2018, in un’intervista, pubblicata su “Viversani”, ho parlato di ”mancanza di rispetto per gli insegnanti e la scuola, spesso anche da parte dei genitori”.
Poi c’è stato il Covid che, oltre a causare vittime, quasi tutte anziane, ha minato il carattere dei ragazzi che, nella fragile età dello sviluppo, sono stati costretti in casa a studiare con i PC e i cellulari, apparecchiature che, da allora, come una potente droga, li ha irretiti e schiavizzati con i loro numerosi specchietti per le allodole.
I genitori stessi hanno subito, soprattutto a livello psicologico, il trauma da Covid; sono aumentati a dismisura le separazioni e i divorzi; i papà e le mamme sono sempre più soli, con dei figli da crescere nel modo migliore possibile, figli che hanno perduto il sacrosanto e necessario calore della famiglia.
La scuola, da molti adulti oggi, viene considerata una specie di parcheggio per i loro figli; molti di questi genitori single, nelle ore di scuola vogliono godere di più indipendenza possibile, e, quando la scuola li chiama per cercare di affrontare problematiche dovute al cattivo andamento scolastico dei loro figli, invece di rimproverarli o metterli in punizione (come si usava fare fino al ‘68 del secolo scorso), sentendosi in difetto per l’annientamento della famiglia, prendono subito le loro difese addossando tutte le colpe all’istituzione scolastica e prendendosela con chiunque capiti loro a tiro, insegnanti, direttori e corpo non docente. Si sa che in questi ultimi anni si sono persi molti valori: la scuola e l’istituzione scolastica in generale, con la scolarizzazione delle masse, hanno perso quel prestigio che avevano una volta. Quando le persone erano quasi tutte poco istruite, pendevano dalle labbra degli insegnanti ed erano pronte “a fare i conti a casa” con figli indisciplinati o svogliati: “suo figlio potrebbe fare di più”, era una frase che spesso veniva detta ai genitori nel corso degli orari di ricevimento.
In effetti, oggi è crollata l’importanza dell’istruzione proprio da quando le persone sono più istruite; sembra un controsenso ma è così: forse è inutile studiare tanto, diplomarsi, laurearsi per poi essere disoccupati o sottoccupati, lavorare magari in bar o ristoranti alle dipendenze di non scolarizzati che a suo tempo hanno imparato un buon mestiere che ha permesso loro di fare una vita agiata.
Una volta i concorsi, per i quali c’era bisogno del “pezzo di carta”, erano molto frequenti e molti giovani riuscivano a trovare quel famoso posto fisso che dava loro la certezza di un reddito per poter mettere su famiglia; ora non è più così: la società e il modo di vivere sono ormai “liquidi” (Bauman insegna), si vive alla giornata; oserei dire: si sopravvive, e la scuola e l’università hanno perso la loro importanza e sacralità.
D’altronde oggi conviene entrare nel mondo dei social, partecipare ai vari “grandi fratelli”, mettersi a cantare, ballare, giocare a calcio, con la speranza di trovare la strada della celebrità e della ricchezza, tutto ciò a prescindere dalla scuola e dall’istruzione, con il fine di riuscire a guardare dall’alto in basso quei docenti, che con i loro stipendi non si possono certo permettere il tenore di vita di certi celebri semianalfabeti.
In conclusione possiamo oggi affermare: “Abaso la squola”.

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