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Nefer Domenici, giovanissima eccellenza culturale di Anguillara

Ortica Social accende i riflettori su una giovanissima eccellenza culturale del nostro territorio. Parliamo di Nefer Domenici, quasi 18enne, studentessa del Liceo Vian di Bracciano nell’indirizzo linguististico Esabac, che ha ottenuto un riconoscimeto prestigioso di rilevanza nazionale.

La ragazza di Anguillara ha ricevuto un diploma di merito per aver partecipato alla XIII edizione del Premio Nazionale ALberoandronico di Roma con un brano intitolato “la mia guerra”. Un testo che racconta impressioni e emozioni sulla guerra vista con gli occhi di una ragazza dei giorni nostri. Un concorso di grande importanza che premia coloro che si mettono in evidenza in ambiti culturali ed artistici come Poesia, Narrativa, Fotografia, Cortometraggi e Pittura. Il brano  di Nefer Domenici ha ricevuto, tra gli altri, un encomio dal Preside Vicca , primo preside d’Italia. Questo brano è nato da un compito assegnato in classe che la ragazza ha saputo trasformare in un brano da presentare ad un concorso. La ragazza di Anguillara è peraltro figlia d’arte, la mamma Monica Ceccarini ha scritto un libro di poesie, la stessa studentessa nel 2016 pubblicò una poesia nel libro dedicato ai 40 anni della Volley Anguillara, ottenendo subito ampi consensi. Una carriera insomma in ascesa, una vera eccellenza culturale del nostro territorio che Ortica Social ha ritenuto giusto segnalare ai propri lettori nella certezza che di Nefer Domenici continueremo molto presto a sentire parlare. Ecco il brano che ha ottenuto il prestigioso riconoscimento.

La mia guerra…

Eravamo allo stadio, l’ultima partita di campionato, se avessimo vinto ci saremmo aggiudicati la coppa d’Italia, quella che tutti ci invidiavano. Io e mio padre eravamo all’ingresso per i controlli sotto la curva Nord dello stadio Olimpico di Roma, pronti per entrare.

Nefer Domenici con la mamma Monica

“Grazie papà, sono cosi emozionata, senti, ho il cuore a mille!”

“Lo so, queste partite anche dopo tanti anni che  vengo allo stadio, fanno un certo effetto anche a me” mi disse.

Stavo aspettando quel giorno da circa due mesi, da quando lessi sul Corriere dello Sport: “Lazio in finale, Inzaghi alle stelle”. Mio padre riuscì a trovare i biglietti per quella partita all’ultimo secondo, così la sera del 25 maggio alle 18:00 partimmo e andammo a vedere la partita, ignari di ciò che ci sarebbe accaduto …

Ad aspettare con noi l’apertura dei cancelli, c’erano altre mille persone o forse duemila, chi lo sa! Chi sorridente, chi agitato, chi pieno di speranza e chi, come me, era all’apice della felicità.

Poi uno sparo, delle urla,  mio padre si girò verso di me e con occhi confortanti mi disse:

“Tranquilla, non è niente, gli Ultras si fanno sempre riconoscere in queste situazioni”.

Io non seppi se convincermi di ciò che mi disse o preoccuparmi, ma decisi di seguire il suo consiglio certa comunque, che in qualsiasi caso, ci sarebbe stato lui a proteggermi:

“Se lo dici tu papà, mi fido, però non ti allontanare ti prego”.

La fila per entrare nel frattempo continuava a scorrere, finché non ci fu un altro sparo e altre grida, poi ancora e ancora,la gente iniziò a correre, a spingere perfino, chi piangeva e chi chiamava delle persone a squarciagola.

 Io ormai troppo impaurita da quella scena cercai appiglio tra le braccia grandi e forzute di mio padre, il quale però non era più lì con me. Pensai che forse in quell’attimo di scompiglio e confusione con tutta quella gente che spingeva era stato costretto ad allontanarsi da me, così incominciai a girarmi più e più volte in cerca della figura prorompente di mio padre, ma non lo vidi, provai a chiamarlo sia al cellulare sia a voce:

“Papà, papà dove sei? Papà aiuto!”,

ma con tutto quel trambusto sapevo benissimo che sarebbe stata un’impresa sentire la mia voce che in quell’istante appariva così esile. Decisi di andarlo a cercare, venni spinta e calpestata più volte da persone che fuggivano con occhi angosciati.

Nel frattempo gli spari continuavano e più mi facevo spazio tra la gente più il frastuono aumentava d’intensità come se mi stessi avvicinando al pericolo sempre di più. Caddi più volte e altrettante mi rialzai fiduciosa di ritrovare mio padre.

Con gli occhi colmi di lacrime,con le gambe doloranti e la paura nel cuore cercai invano di orientarmi sul dove mi trovassi, ma nulla,quel trambusto mi aveva disorientata.

Poi il silenzio, un silenzio così assordante che caddi a terra, e fu lì che capii: mi trovavo nel bel mezzo di una guerra, la grande guerra, quella che ogni persona teme. Ultras e forze dell’ordine schierati come due eserciti della Prima Guerra Mondiale, muniti di fumogeni, san pietrini e manganelli. Nei loro occhi c’era rabbia e spavento, dolore e frustrazione ed io distesa sul campo di battaglia insozzo di sangue mi spensi …

Riuscii a ritrovare mio padre, o lui trovò me questo non me lo ricordo, ma tre giorni dopo l’accaduto mi risvegliai al Policlinico Gemelli di Roma con mio padre addormentato sulla sedia della mia stanza.

“Dove mi trovo? Cos’è successo? Perché mi hai abbandonata lì?” Chiesi a mio padre.

“Tranquilla non è successo niente, ora ci sono io con te e giuro che non ti lascerò mai più”. Rispose lui.

Questo ricordo dottore, non so dirle altro, eravamo allo stadio, era l’ultima partita di campionato ed io e mio padre ci ritrovammo in un qualcosa di simile alla trincea.

Ricordo solo un altro dettaglio dottore, era il mio compleanno …

Ortica Social ha intervistato la studentessa di Anguillara, potete vedere i due video sul nostro profilo facebook l’ortica social. 

 

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