di Arnaldo Gioacchini
Chi non ha sentito parlare, almeno una volta, del grande Gino Bartali una Persona di prim’ordine, come ce ne sono poche, che mio padre prima e poi io conoscemmo piuttosto bene sempre per motivi legati al ciclismo ove il Grande Gino era, più che emerso, a livello assolutamente mondiale.

Gino Bartali stringe la mano ad Amerigo Gioacchini
Esattamente 25 anni, il 5 maggio del 2000, il grande Gino Bartali veniva a mancare. Si lasciava un immenso Ciclista ed una straordinaria Persona il quale sia mio padre che io conoscemmo, in periodi e con modalità differenti, ma sempre legate però al mondo della bicicletta. Personalmente chi scrive ne ha un ricordo molto bello che intende onorare narrando come andarono le cose le quali permisero al mio genitore prima, ed a me dopo molti anni, di dialogare e sorridere insieme ad un immenso Atleta ed Uomo, speciale e di grande caratura umana, come fu il formidabile ed intramontabile “Ginettaccio”. Andando per ordine inizio da quando lo conobbe mio padre: Mio padre, durante il periodo dell’ultima guerra mondiale, fu un soldato semplice di fanteria del nostro Esercito e, fra chiamate e richiamate, fece il militare per dieci anni con la caserma di stanza del suo reggimento, fra una campagna militare e l’altra, che era in quel di Poggio Imperiale a Firenze. Papà Amerigo, brevilineo e bradicardico molto dotato in salita, aveva una passione innata per la bicicletta tanto è vero che sempre lui, con una pesante bici da passeggio con su fissate due cassette di legno una davanti al manubrio ed una dietro il sellino le quali tenevano ognuna cinque litri di latte contenuto nelle, non certo leggere, bottiglie di vetro della Centrale del Latte di Roma (che all’epoca era in piena città quasi alle spalle della Stazione Termini) andava a consegnare il latte (più altre incombenze) che veniva venduto nel piccolo bar/latteria di mio nonno a viale Glorioso nel Rione di Trastevere.

Gino Bartali con la moglie Adriana Bani
Consegna del latte che prevedeva,considerati gli scarsi guadagni, anche vari recapiti a domicilio (con spesso relativi scollinamenti in quel di Monteverde Vecchio e limitrofa zona del Gianicolo) e con relativo successivo ritiro dei vuoti che venivano poi restituiti alla Centrale nei “famosi” cestelli metallici, e siccome andava benissimo in salita spesso, per fare prima le consegne, saliva a Monteverde facendo i cosiddetti “fortini”, una salita breve ma ripidissima, (una cosiddetta “spezza gambe”) che da Viale di Trastevere (all’epoca Viale del Re) porta direttamente a Monteverde Vecchio. Manco a dirlo mio padre, che smontava e rimontava (sfere della pedivella incluse ed eventuali cambi vari) qualsiasi bicicletta, si era costruito da solo anche una pseudo “bici da corsa” raccattandone i vari pezzi fra le botteguccie di Trastevere e Porta Portese. Tornando in quel di Firenze, quando il reggimento rimaneva in loco mio padre, durante la libera uscita si metteva in borghese in una stanzetta sopra una semplice trattoria sita in Santa Croce di proprietà di un amico di mio nonno e nella stessa strada noleggiava una bicicletta, diciamo quasi da corsa in quanto dotata di cambio, e se ne andava in giro pedalando, da par suo, fra le colline toscane che contornano Firenze.Un pomeriggio mentre si arrampicava verso Fiesole fu affiancato da tre corridori in divisa da veri ciclisti che, guardatolo un attimo, scattarono immediatamente sgranandosi in fila indiana su per la salita, al che mio padre scattò a sua volta e si mise a ruota dell’ultimo della fila, visto ciò i tre scattarono ancora, dandosi anche il cambio nei vari strappi, e questo avvenne fino alla piazza di Fiesole con sempre mio padre Amerigo a ruota visto che non erano riusciti mai a staccarlo. Giunti sulla piazza i tre, con tanto di cappellino da corridore con la visiera abbassa sulla fronte, si fermarono ed uno dei tre chiese a mio padre, in dialetto toscano, chi fosse e se era anche lui un corridore; al che avuta la semplice risposta che si trattava invece di un semplice soldato romano in borghese che amava molto andare in bicicletta, la quale per lui a Roma era anche uno strumento di lavoro, quello che aveva interpellato mio padre togliendosi il cappello gli disse, in dialetto fiorentino (qui “tradotto”): “ O romanino lo sai chi sono io e di chi sei stato a ruota in salita e non hai neppure l’affanno ?”. Mio padre basito, trattandosi,fra l’altro, del suo idolo ciclistico, esclamò subito: “ Gino Bartali!”. Al che il grande Campione ( di poche parole come mio padre) guardando bene la bici di mio papà aggiunse (sempre in fiorentino) “e sei stato a ruota pure pedalando su di una specie di bicicletta” dicendogli subito dove a Firenze poteva andare ad affittarne un’altra migliore anche facendo il suo nome e che, se per caso voleva fare il corridore di mestiere se ne sarebbe occupato lui; a cui mio padre rispose che, quando non lo richiamavano sotto le armi, doveva aiutare la numerosa famiglia d’origine, nel piccolo bar/latteria romano di loro proprietà, soprattutto andando a fare le consegne del latte in bicicletta. Con il mitico grande Bartali e due suoi gregari mio padre si incontrò, sempre in bici, altre due volte e sempre in salita al che il Grande Campione diceva: “Ovvia, oggi c’è anche il romanino vediamo se stavolta lo stacchiamo!” Ma niente da fare il dilettantissimo “romanino” come lo aveva soprannominato Bartali (che oramai non si sorprendeva più di tanto) rimaneva sempre a ruota dell’ultimo professionista della fila. Questo per quanto concerne mio padre che però, dopo quasi sessanta anni, rivide Gino Bartali durante lo svolgersi di un evento ciclistico del quale suo figlio era lo speaker ufficiale. La cosa andò in questo modo: Alla fine degli anni ’80, quando lavoravo all’ospedale Forlanini di Roma, nei giardini dello stesso nosocomio si svolgeva l’unica prova italiana del Superprestige Internazionale di Ciclocross, il Gran Premio Spallanzani di Ciclocross al quale partecipavano i migliori specialisti del mondo (la prova fu vinta più volte anche da vari campioni del mondo ad es. il belga Roland Liboton ed il ceco Radomir Simunek – ndr). La gara si chiamava G.P. Spallanzani in quanto era nata, a livello solo nazionale ( in una occasione fu vinta anche da “cuore matto” Bitossi), nello sterrato che era alle spalle dell’ospedale Spallanzani grazie alla grande passione ciclistica del dr.Bruno Primicerio (uno dei massimi estensori, a livello giuridico, dei codici ospedalieri moderni) che dello Spallanzani era stato direttore amministrativo. Passato poi a dirigere il polo ospedaliero del San Camillo, Forlanini, Spallanzani e la USL RM/16 come Coordinatore Amministrativo della mega realtà sanitaria ( che fra l’altro comprendeva pure l’unico Servizio di Disinfezione e Disinfestazione di Roma sito in via Folchi, l’unico Canile Municipale quello di Porta Portese e vari ambulatori delle ex mutue ed un UTR) il Prof. Primicerio, visto e considerato che nell’area succitata dello Spallanzani era stato costruito un ampio parcheggio, “trasferì” la gara di ciclocross dello Spallanzani dentro il parco del Forlanini ( fra l’altro, tecnicamente parlando, anche più interessante in quanto dislivellato) pur conservandone il nome e grazie alla sua crescita agonistica, ormai di grande livello, a fare inserire la corsa del Forlanini, che si svolgeva ogni anno l’ 8 dicembre, come unica prova italiana del prestigioso Superprestige Internazionale di Ciclocross. In una di queste occasioni venendo a mancare improvvisamente lo speaker della corsa chi scrive, che era l’addetto stampa della manifestazione, si improvvisò speaker dal palco nel quale, in una postazione accanto, operavano sempre in diretta TV su RAI 3 prima Adriano Dezan e poi Giorgio Martino. Il Prof. Primicerio (talmente appassionato da patrocinare anche due squadre di ciclocross: la Ciclistica Spallanzani e l’Erica Bracciano) ogni anno invitava un personaggio del ciclismo presente o passato, facendogli, prima della gara, visitare anche un reparto dell’ospedale per poi farlo partecipare, a fine gara, alla premiazione solenne che si svolgeva nella bella Aula Magna del nosocomio. Un anno capitò che, come ospite d’onore, fu invitato Gino Bartali e, sapendolo in anticipo, lo dissi a mio padre che la gara la seguiva sempre in tv (anche perché l’8 dicembre era il compleanno di mia madre), mio padre, il quale, con grande ritrosia, venne nel parco del Forlanini dove sotto il palco riabbracciò, dopo tanti anni, il mitico Gino Bartali (intabarrato in un bel trench) che esclamò subito “Uarda il romanino” con mio padre molto commosso, come Bartali stesso, a cui mio padre gli indicò lo speaker della gara dicendogli che era suo figlio, con io che, tramite microfono, segnalai, al numeroso pubblico presente, che era con noi il Grande Campione Gino Bartali, il quale avrebbe pure partecipato alla premiazione in Aula Magna. Come tradizione il dr. Primicerio, prima dell’inizio della gara (ormai legata completamente alla tempistica televisiva della RAI) accompagnò Bartali a visitare un reparto non lontano dal traguardo ove si svolse una cosa molto divertente quando al giovane medico di guardia fu presentato Bartali “piacere Bartali” al che il sanitario rispose “piacere Coppi” e non si trattò di uno scherzo in quanto il suddetto medico, incredibile ma vero, faceva proprio di cognome Coppi. Nell’occasione,finito di comunicare i risultati della corsa all’ANSA, raggiunsi mio padre e Bartali che stavano parlando, fitto fitto, in un angolo del parco vicino all’ingresso, con Bartali, il quale come seppe che ero sposato con una fiorentina e andavo, per questo motivo, piuttosto spesso, nel capoluogo toscano, dette a mio padre il suo indirizzo di casa dicendoci che sarebbe stato molto contento se lo fossimo andati a trovare; cosa che facemmo l’anno successivo recandoci nella sua casa molto semplice, pulita ed ordinata tenuta in maniera impeccabile dalla sua amatissima moglie la sig.ra Adriana Bani (deceduta nel 2014) che ci presentò nell’occasione e con la quale sottolineai, facendo ridere tutti, l’assonanza con il nome di mia suocera che si chiamava Adriana Dini. Parlando con Bartali, a casa sua, mio padre, da grande appassionato di ciclismo, riandò alla tristissima fine del fratello di Gino, Giulio, a seguito di un investimento automobilistico avvenuto durante una corsa ciclistica e di una operazione d’urgenza fatta in ospedale ( correva l’anno 1936) da un medico che, quando morì nel 1959, lasciò una lettera per la madre di Bartali nella quale “confessava di aver commesso un errore irreparabile e di averne quindi causato la morte”. Nell’occasione chiesi anche al Grande Campione Bartali ( che poteva vincere tante altre corse ma impattò l’apice della sua carriera con la guerra mondiale) di chi era la borraccia che, nella famosissima foto del Tour del 1952, passò fra lui e Coppi o viceversa e ne ebbi la risposta vera. Al che, Bartali, da quel grande Uomo che era, di una sensibilità più che unica mascherata da una altrettanto grande riservatezza, ricordò a mio padre ed a me come pure Fausto Coppi fu molto sfortunato con suo fratello Serse, corridore ciclista anche lui, che venne a mancare a seguito di una caduta fatta durante una gara ciclistica nel 1951. Ciao Grandissimo Gino e grazie tanto per quanto ci hai donato (tantissimo) sia a livello sportivo che umano.
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